di Giampaolo Milzi
La Casa del Mutilato, ex sede del Consiglio regionale Marche, resta in vendita, inserita nella lista degli immobili da collocare sul mercato tramite asta pubblica. Parola dell’assessore regionale al Patrimonio Fabrizio Cesetti, rimasto più che sorpreso dalla notizia dell’azione giudiziaria con cui l’avvocato maceratese Angelo Gattafoni diffida il massimo ente locale dall’alienare lo storico, artistico ma piuttosto cadente e degradato edificio che si affaccia all’inizio di corso Stamira ad Ancona. E’ bastata, ieri mattina, una breve verifica presso la dirigenza del servizio regionale Risorse finanziarie e bilancio per giudicare manifestamente infondata la lettera-diffida scritta e inviata dal legale in Regione. Insomma, un caso non caso, campato per aria, dal punto di vista giuridico, la sostanza della smentita giunta da Palazzo Raffaello e avallata da Cesetti. Quanto all’avvocato Gattafoni, ci aveva già provato un anno fa, con un’altra sollecitazione scritta alla Regione proprietaria della Casa del Mutilato, a sostenere la tesi secondo cui l’elegante e artisticamente decorato palazzo – costruito nel 1937 su progetto del rinomato architetto Eusebio Petetti – apparterrebbe al Demanio: quindi non sarebbe alienabile in quanto di interesse culturale e proprio per questo dovrebbe godere di una pubblica valorizzazione. “Un atto di diffida per il quale la Regione non si era degnata di rispondermi”, ha detto ieri il legale. Sollecitato a rivolgersi alla Giustizia dall’anconetana Alessandra Maltoni, nipote dello scultore Mentore Maltoni che realizzò la gemma architettonica del monumentale edificio, ovvero il grande balcone con bassorilievo, denominato Arengario, che spicca per la sua bellezza sopra il portone d’ingresso. La notizia dell’iniziativa volta a bloccare la vendita ha destato quasi incredulità ieri anche negli ambienti della Soprintendenza unica delle Marche. La risposta dell’organo periferico del ministero Beni culturali: “Vero che la Casa del Mutilato è tutelata come bene culturale dal decreto legislativo n° 42 del gennaio 2004, ma non esiste alcun vincolo di inalienabilità, un vincolo di questo tipo vale solo in casi eccezionali, come il Colosseo, i resti archeologici di Pompei, la Fontana di Trevi (tanto per citarne alcuni, ndr,)”. Testimonianze storiche di valore inestimabile che – ha fatto notare qualcuno – possono essere vendute, illecitamente, soltanto in un film. Il riferimento è a una gag del notissimo “Totò truffa 62”, dove il comico, nei panni di un consumato imbroglione, riesce a vendere la celebre fontana romana ad un ingenuo turista italo-americano. Ma tant’è, ci vuol ben altro per far innestare la retromarcia all’avvocato Gattafoni. Che nella sua seconda diffida, pur ammettendo, dal punto di vista delle motivazioni giuridiche, “di aver spaccato il capello in due”, sciorina di nuovo una sequela di norme a sostegno della sua causa: “Gli artt. 822, 823, 826 e 829 del codice civile; la legge 16 maggio 1970, il cui l’art. 11 conferma l’inalienabilità. Il decreto legislativo 269/2003, convertito nella legge il 24/11/2003 n. 326, il cui l’art. 27 regolamenta la “verifica dell’interesse culturale del patrimonio immobiliare pubblico” effettuata dalle Soprintendenze. Il (già citato, ndr.) decreto legislativo 22/01/2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) i cui gli articoli 12, 54 e 56 confermano l’inalienabilità di beni immobili come quello in oggetto”. Ingarbugliate quanto legittime arzigogolature giuridiche a parte, l’unica questione che, conferma la Soprintendenza, deve interessare alla Regione, è il suo dovere di completare tutte le opere di manutenzione prescritte per la Casa del mutilato, a cominciare proprio dal prezioso Arengario, che versa in pessime condizioni. In questo senso la Soprintendenza si aspetta un dettagliato e generale progetto di restauro dal massimo ente locale o dall’eventuale acquirente. La Casa del Mutilato resta quindi catalogata tra gli immobili regionali da vendere, con una base d’asta di 2 milioni e 300mila euro, dopo le due precedenti andate deserte.
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