di Giampaolo Milzi
Con non voluto effetto paradossale il Comune l’aveva ribattezzato “Percorso Chayim”, prendendo spunto dal termine ebraico “chai”, che sta per “vivere”. A distanza di oltre 10 anni dalla sua inaugurazione, quell’itinerario ”ad alle” evoca una sensazione di morte, tanto è il livello di totale degrado e abbandono in cui versa. Una sensazione di morte che riguarda anche e soprattutto la memoria dell’antichissima cultura ebraica di Ancona, che il sito avrebbe dovuto raccontare e valorizzare, confinante com’è col Campo cimiteriale degli Ebrei. Il percorso, inaugurato ben due volte, nel 2006 e nel 2007, avrebbe dovuto essere uno dei fiori all’occhiello del Parco del Cardeto-Cappuccini. Attrezzato con arredi urbani, dotato di innovative soluzioni achitettoniche, realizzato in buona parte con materiali di pregio e dotato di apparecchiature tecnologiche, si sviluppa per la maggior parte all’aperto, salvo la tappa nel piccolo fabbricato ottocentesco con funzioni divulgative denominato “Deposito del Tempo”. Il mortifero degrado è andato via via cronicizzandosi a partire dal 2011, quando il sito – che si apre subito dopo la cadente area dei casermaggi, che si raggiunge salendo per la strada d’ingresso al Parco sulla destra della facciata della facoltà (ex caserma Villarey) – è stato chiuso al pubblico e alla visite guidate di cittadini, scolaresche, studenti e turisti. Subito dopo i casermaggi – anch’essi di proprietà municipale, ma mai ristrutturati – sul lato opposto della strada su cui si affaccia il grigio edificio chiuso dell’ex deposio derrate, la recinzione con tavole di legno è interrotta da un portone, anch’esso ligneo. Fronteggiato all’esterno prima da un totem a punta arrugginito e poi da un cartello, intitolato “Deposito del Tempo”, anch’esso malridotto e con note esplicative. Tra quelle note non c’è scritto che il progetto dell’operazione “Chayim” si era concretizzato grazie a una spesa complessiva di 850 mila euro, frutto di apposito finanziamento europeo ottenuto dal Comune su erogazione della Regione Marche.
Ci inoltriamo in questa porzione di parco che sembra colpita da una sorta di “damnatio memoriae” post catastrofe, e ci rendiamo conto di quanto il frutto di quegli 850mila euro sia scandalosamente marcito. Appena entrati, ecco 3 dei 4 originari cartelli con foto d’epoca del Campo degli Ebrei e didascalie relative anche al Deposito del Tempo. Di fronte, la prima porzione di savana selvaggia – in cui è ridotta tutta la zona – dove giacciono in rovina due grandi pannelli di plastica con indicazioni sul cantiere che fu. Pochi passi e imbocchiamo il primo tratto del “Chayim”, un selciato ottocentesco ristrutturato ma in pessime condizioni. Percorrendolo, si notano adagiate sulla destra, a distanza regolare, 7 eleganti piastre smaltate (in acciaio tipo corten) con su incisa la storia del Campo degli Ebrei (opera dello studio d’architettura Salmoni), anche queste sporche e poco leggibili, a causa della reiterata, quasi cronica assenza di manutenzione e di ulteriori investimenti che hanno penalizzato tutta l’area fin dalla sua nascita.
Alla fine di questa specie di corridoio all’aperto, su cui debordano le erbacce e i rovi dalla circostante savana, ecco che sul lato destro ci appare il vero e proprio edificio del “Deposito del Tempo”. Si tratta di un ex manufatto militare del XIX secolo, di circa 30 metri quadri, ristrutturato in modo virtuosamente e parzialmente conservativo a partire dal 2005 dagli architetti Mauro Tarsetti e Roberto Angeloni (costo 150mila euro). Gli interni, inaccessibili, dovrebbero ancora contenere una postazione multimediale e un computer con proiettore collegato a uno schermo, destinati ad illustrare con audiovisivi la storia e i luoghi tipici della comunità ebraica anconetana e soprattutto le caratteristiche del Cimitero ebraico, a sua volta risistemato, e quelle paesaggistiche del Parco del Cardeto. All’esterno del “Deposito del Tempo” troneggia un secondo totem a punta (uguale a quello fuori del cancello d’ingresso del sito). A questo punto, il primo tratto del Chayim-Deposito del Tempo termina con una svolta sulla sinistra che, tramite una passerella, dovrebbe condurre il visitatore ad un secondo percorso. Già, dovrebbe. Perché percorsa la passerella non resta che affacciarsi alla sbarra metallica che blinda l’accesso. Gettiamo lo sguardo oltre. Il panorama è raccapricciante. Il percorso, a suo tempo ristrutturato (anche qui con il contributo dello studio Salmoni), è ridotto peggio di un sentiero di montagna.
Letteralmente invaso da rovi ed erbacce. Sul lato destro, fanno brutta mostra di sè alcune decine di lapidi e di pezzi di tombe ebraiche, lì collocate perché rivenute durante l’opera di monitoraggio effettuata nel vicino antico cimitero ebraico, senza che se ne conoscesse l’esatta originaria collocazione. Il sentiero delle lapidi risulta sbarrato anche nella sua parte terminale opposta. Da segnalare che tutta l’area verde di circa 30 ettari del Cardeto, comprensiva della caratteristica zona erbosa cimiteriale, anch’essa oggetto del progetto percorso Chayim, non è provvista di servizi igienici.
Ricostruire o abbozzare un realistico calendario delle visite guidate è stata impresa alquanto difficile, lo stesso vale per la poco edificante storia fin qui descritta. Motivo? Ci siamo dovuti barcamenare a lungo tra Comune, Biblioteca Comunale, Museo della Città, ovvero i tre soggetti che hanno avuto negli anni la responsabilità gestionale del percorso Chayim-Deposito del Tempo. Dal 22 ottobre 2009 le visite all’area del Deposito del Tempo sono state interrotte per almeno un mese a causa dell’avvio di un cantiere per la messa in sicurezza dei casermaggi adiacenti, ad oggi ancora fatiscenti, e relativo anche a lavori nel Deposito. La direttrice della Biblioteca Comunale Emanuela Impiccini ha delineato il seguente report: 1229 visitatori da febbraio a dicembre 2008; 811 da gennaio a ottobre 2009; 420 da aprile e a settembre 2011. Come si nota, presenze in calo progressivo. Un altro report, fornitoci dalla cooperativa Artes – che fin dall’apertura del sito ha gestito le visite, prima in base a un appalto comunale assicuratosi assieme alla Forestalp, poi da sola nel periodo da giugno a settembre 2011 – riguarda i soli dati relativi alle attività didattiche organizzate per le scolaresche marchigiane nel Deposito tra il 2008 e il 2011: circa 500-600 studenti l’anno in visita nei periodi gennaio-maggio e settembre-dicembre.
Tornando al 2011, si era deciso di chiudere l’accesso al percorso Chayim a tempo determinato, quello occorrente ai lavori per la messa in sicurezza e delimitazione della disatrata area casermaggi confinante. Risultato: lavori mai ultimati, Chayim off limits a tempo indeterminato.
Dal 2011 ad oggi, il Comune avrebbe manifestato solo qualche cenno di interesse. Nel 2014 le dichiarazioni dell’attuale assessore alla Cultura Paolo Marasca. Il quale, reduce da un sopralluogo sul posto, aveva promesso: “Per quanto riguarda le opere di manutenzione interna saranno immediate. Per l’esterno faremo pulizia”. A metà novembre del 2014 l’Ufficio Verde del Comune avrebbe dovuto bandire la gara d’appalto per la nuova gestione. A partire dal 2015 l’iter del percorso Chayim riguardante la zona del Deposito avrebbe dovuto ricominciare a prendere vita col ripristino delle visite guidate e dell’attività didattica sotto la regia di una cooperativa.
Promesse mantenute? Pulizia sommaria, qualche potatura e taglio di rovi ed erbacce. Forse. Per il resto “no chai”, atmosfera di morte del “genius loci”. Mentre in Comune, ufficiosamente, si aggira il fantasma, solo il fantasma, di un progetto per la riapertura.
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Non c’era abbastanza da magnà per i mestieranti del comune!
Dovevano mette più soldi nel trogolo!
Cosa ve pare che facevano del bene alla città praticamente gratis???
Anconetani, quando incrociate per strada sti buffoni (che avete votato!) fateglielo un discorsetto 😉
Ancona, crogiuolo di culture, sede di una delle più antiche comunità ebraiche d’europa, patria di importanti famiglie ebraiche, protetta da un santo ebreo, oggi ha un cuore che batte da un’altra parte, e un po’ si vergogna di queste sue radici.