di Fabrizio Cambriani
Sono ventuno i milioni di euro che il Consiglio Regionale delle Marche, nella seduta del 5 aprile scorso, ha destinato, con una legge urgente, ad Aerdorica, la società di gestione dell’aeroporto Raffaello Sanzio. Si tratta del più grande sperpero di denaro pubblico della storia contemporanea dell’ente regione. Declinati in vecchie lire ammonterebbero a quaranta miliardi. Una cifra pazzesca, praticamente buttata dentro il secchio dell’immondizia. Soldi con cui si sarebbero potuti acquistare ecografi o altro materiale sanitario che si tiene assieme con lo scotch e il fil di ferro tanto è vecchio e sorpassato. Oppure sarebbero potuti servire per tenere aperti punti nascita chiusi negli ospedali della montagna terremotata.
Soldi in bilancio, ovviamente non ce ne erano, per cui i lungimiranti scienziati che pro tempore ci amministrano, hanno pensato bene di sottrarli al fondo di accantonamento dei bond Raffaello, da onorare nel 2023. Più di sette milioni di euro pubblici vengono destinati addirittura per pagare stipendi, fornitori e buffi vari. Maggioranza e gran parte dell’opposizione d’accordo in questo scellerato patto. Illuminante, per capire il grado del deteriore consociativismo possibile, l’intervento di Celani di Forza Italia. Sgrossato e depurato da tutto, egli ha in buona sostanza affermato questo: “noi non votiamo contro, ma la prossima volta che c’è da salvare un altro baraccone, nel sud delle Marche, voi ce lo salvate!” Avanti così, c’è posto per tutti…
I sei articoli della leggina urgente e straordinaria, sono stati approvati in tutta fretta e quasi di nascosto, ma soprattutto in palese ed evidente contraddizione rispetto al decreto legislativo 175 emanato dal governo nel settembre 2016 che detta regole cogenti e severe sulle società partecipate e sulla funzione degli amministratori. Un contrasto talmente forte che, sommato all’atteggiamento lasco e lassista sulla sentenza del TAR che ha dichiarato illegittimo il concorso per dirigenti, farebbe verosimilmente pensare ad un imminente secessione delle Marche dall’Italia, per fondare lo Stato libero di Bananas di cui Ceriscioli, ovviamente, ne sarebbe indiscusso dittatore. La recentissima storia dell’aeroporto delle Marche è infatti degna di una sceneggiatura del miglior Woody Allen. Personaggi imbarazzanti e al tempo stesso comici si sono avvicendati alla guida della società di gestione, nominati, ogni volta, con squilli di tromba e rulli di tamburo, dal governatore medesimo, per poi essere cacciati malamente, una volta scoperto – sempre dai giornali e mai di persona – di che pasta erano realmente fatti. Una regione che, a parole, è all’assidua ricerca di un partner privato, ma nei fatti prega Dio per non trovarlo. Per un periodo, la fa lunga e romanzata con la storiella degli acquirenti russi. Tutti – è ovvio – ciurlano nel manico, consapevoli che un Paese aderente alla NATO non permetterebbe mai di vendere agli ex sovietici addirittura uno scalo aereo al centro del mar Adriatico. Quando poi, all’improvviso, si materializza l’americano Soriano, un acquirente vero con tanta disponibilità di cash, che si dice realmente interessato all’acquisto (salvo tagliare del 60% il personale) gli sbattono bruscamente la porta in faccia e non gli fanno comprare nemmeno l’uno per cento delle azioni. Vicende surreali che, passo dopo passo, hanno portato Aerdorica a ridosso del fallimento. Infatti se ne stanno occupando il giudice prefallimentare e la procura della Repubblica.
Irrazionale pure il dibattito in aula. Nessuno è entrato nel merito delle scelte. Nessuno della maggioranza ha, non dico menzionati, ma nemmeno lontanamente evocati, i criteri di economicità, efficacia ed efficienza che devono essere le guide indiscusse di una società partecipata da capitale pubblico. Solo frasi fatte. Smentite peraltro da dati e numeri. Dati e numeri ci dicono, infatti che l’aeroporto con i suoi pochi e secondari voli non ha nulla di strategico. Sembra più la stazione di Piovarolo di Totò, dove si fermava un solo treno al giorno, che non l’hub che ci stanno descrivendo. Tre voli alla settimana per Bruxelles, uno al giorno per Londra, uno al giorno per Monaco di Baviera, due alla settimana per Dusseldorf, quattro alla settimana per Tirana e qualche volo domestico per Roma e per le isole, non sono oggettivamente numeri che possano fare la differenza in termini di turismo. Così come il fallimento non sarebbe necessariamente e in linea teorica la peggiore tra le soluzioni possibili. Proprio il 5 aprile, mentre il Consiglio Regionale bruciava banconote per ventuno milioni di euro, il Sole 24 ore spiegava dalle sue pagine come e qualmente l’aeroporto di Rimini, lasciato fallire poco più di tre anni fa, abbia oggi quadruplicato il fatturato e aumentato del 137% il numero dei viaggiatori. Toglietevi una curiosità: andate sul sito dell’aeroporto di Rimini e guardate personalmente i voli e quali relazioni commerciali abbiano intrecciato con la Russia e altri paesi dell’est e perfino con Israele. Risultati, questi, ottenuti in solo due anni di gestione. Adesso Rimini farà rotta a Pechino con buona pace dei nostri consiglieri regionali che continuano la cantilena dell’infrastruttura strategica e insostituibile per il turismo, ignari del fatto che l’aeroporto di Ancona sarebbe casomai uno dei principali scali nazionali cargo. Peccato che nessuno di loro lo sappia e che nel dibattito in aula, nemmeno se ne sia fatto cenno. Non so perché, ma mi viene in mente il detto: in mancanza di cavalli trottano gli asini…
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