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Morte di Hamid,
il padre confessa:
«Ho ucciso mio figlio»

Il piccolo Hamid con il papà Besart

 

di Federica Serfilippi

(foto Giusy Marinelli)

E’ in carcere a Montacuto da questa mattina all’alba Besart Imeri, il 24enne residente a Cupramontana di origini macedoni, accusato di aver ucciso il figlio Hamid di 5 anni. Durante la lunga notte trascorsa nella caserma dei carabinieri del paese, l’uomo avrebbe parzialmente confessato davanti agli investigatori e al pm Valentina Bavai, fornendo elementi sufficienti per tramutare l’ipotesi dell’omicidio in una dato concreto. Un delitto terribile, di cui però Besart non ha saputo dare alcuna spiegazione razionale. L’uomo è entrato in caserma come persona informata sui fatti in tarda serata, ne è uscito come indiziato di omicidio volontario aggravato dal legame di parentela con la vittima. L’avvocato di fiducia, Raffaele Sebastianelli, è arrivato solo alle 5 della mattina e davanti a lui, il 24enne non ha ripetuto la confessione, si è limitato al silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere. La dichiarazione confessoria, dunque, sarebbe inutilizzabile ai fini procedurali. Prima di entrare a Montacuto, Besart avrebbe scambiato solo poche parole con il suo avvocato. Un secondo incontro dovrebbe avvenire già domani. La dinamica ricostruita dagli inquirenti sembra essere chiara: il 24enne sarebbe uscito di casa con il figlio con l’intenzione di ucciderlo. C’è un elemento che lo fa supporre: tra l’uscita dall’appartamento, situato in via Bonanni 17, e l’atto che ha portato alla morte il piccolo sarebbero passati pochissimi minuti. Secondo quanto emerso, Besart avrebbe portato fuori il bimbo dicendo ai familiari rimasti di casa di voler fare una passeggiata. Una volta arrivati in auto, una Yaris verde da ieri sotto sequestro, si sarebbe scatenata immediatamente la follia del 24enne. Sul sedile posteriore della vettura si sarebbe consumato il delitto. L’ipotesi più accreditata è che Hamid sia morto per strangolamento, forse avveuto a mani nude. Dopo l’atto, il 24enne è uscito dal veicolo, parcheggiato a pochissimi metri di casa. Sarebbe stato lo stesso Besart ad allertare i familiari rimasti nell’appartamento. «Aiutatemi, sta male». Alcuni parenti del giovane papà sono corsi subito. È in strada che è avvenuto un primissimo soccorso. Poi, Hamid è stato portato all’interno dell’abitazione. A quel punto, la chiamata disperata al 118. Con l’operatore ci ha parlato prima un familiare del piccolo, ma in un italiano stentato. C’è stato un passaggio di cornetta a un altro parente per far capire alla centrale operativa che la situazione era tragica. «Venite, presto, c’è un bambino che non respira». L’automedica e i militi della Croce Verde sono piombati in un attimo. Hanno tentato il tutto per tutto, ma il cuore del bimbo non ha ripreso a battere. Per lo choc, la madre, 23enne connazionale di Besart e incinta al settimo mese, ha avuto un malore ed è stata ricoverata all’ospedale di Jesi. Il marito è stato condotto in caserma dai carabinieri. I primi sospetti si sono subito rivolti verso quel giovane che da qualche mese aveva perso il lavoro da saldatore ed era entrato in una fase depressiva acuta. Per lui, quella di ieri, è stata una lunga notte. Sotto torchio per oltre dieci ore. Ora, sarà l’autopsia – non ancora fissata – a stabilire con esattezza le cause della morte del piccolo. Anche per la convalida del fermo non c’è ancora una data.

 

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