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Sparò a un ladro in fuga:
sconto di pena al carabiniere

ANCONA - In primo grado, all'appuntato Mirco Basconi era stata inflitta una pena di una anno in abbreviato per aver sparato ad Ostra a un ladro, poi morto all'ospedale di Torrette dopo giorni di agonia. Condanna confermata oggi in appello. Il processo si è tenuto con un notevole spiegamento della sicurezza, per le minacce ricevute dall'avvocato che assiste la famiglia della vittima, parte civile al procedimento

La Corte d’Appello

 

Uno sconto di cinque mesi. Così si è ridotta la pena inflitta a Mirco Basconi, l’appuntato dei carabinieri condannato in primo grado a un anno di reclusione per l’omicidio colposo di Korab Xheta, 23enne albanese, colpito alla nuca da una pallottola mentre il primo febbraio 2015 si trovava a bordo di un suv bianco, sospettato di essere il mezzo con cui si stava spostando per tutta la zona di Ostra una banda di topi d’appartamento. Dopo quasi cinque ore di camera di consiglio, la Corte di Appello ha confermato questo pomeriggio la condanna per il militare, all’epoca in servizio ad Ostra, ma ha ridotto il verdetto a sette mesi e dieci giorni, pena sospesa. Tutto il processo di secondo grado si è tenuto a porte chiuse e nel più stretto riserbo, con un articolato apparato di sicurezza delle forze dell’ordine. La necessità è dovuta al fatto  che l’avvocato che assiste la famiglia della vittima, Marco Serino, sarebbe stato raggiunto da alcune minacce via social sul suo profilo Facebook. “Te la facciamo pagare”, “Sei una minaccia per lo Stato”, “Ti teniamo d’occhio” sarebbero state le frasi intimidatorie che il penalista avrebbe ricevuto su Messenger da due differenti profili dopo la condanna inflitta in primo grado al carabiniere. Il legale ha sporto denuncia alla procura di Santa Maria Capua Vetere, foro a cui appartiene. Oggi, era presente in udienza il fratello del 23enne ucciso. Ad assistere il militare, gli avvocati Mario e Alessandro Scaloni. A rappresentare l’Arma c’erano il colonnello del Nucleo Investigativo Americo Di Pirro, il colonnello provinciale dei carabinieri Stefano Caporossi e Cleto Bucci, comandante della Compagnia di Senigallia e diretto superiore dell’imputato, presente davanti ai giudici. L’albanese aveva trovato la morte all’ospedale di Torrette dopo quattro giorni di agonia nel reparto di Rianimazione. La pallottola sparata dalla pistola di Bastoni lo aveva colpito alla nuca, mentre si trovava sul sedile posteriore del suv Mercedes intercettato dai militari e sospettato di essere il mezzo su cui si stava spostando una banda di ladri. Prima di arrivare addosso al 23enne, il proiettile aveva rimbalzato sull’asfalto per poi sfondare il lunotto della vettura.  Tutto era successo in contrada Lanternone. I carabinieri avevano trovato il suv fermo ai bordi della strada. Erano scesi delle gazzelle per un controllo. Sembrava che a bordo della vettura bianca non ci fosse nessuno. Invece, si era improvvisamente messa in movimento, in direzione del gruppo dell’Arma. A quel punto, i militari avevano fatto fuoco, esplodendo cinque colpi e puntando alle gomme, come ha dimostrato la perizia balistica effettuata durante le indagini. Il suv era stato ritrovato a pochi metri dalla sparatoria. A bordo, c’era solo l’albanese agonizzante. Due  carabinieri erano finiti sotto indagine, coordinata dal pm Mariangela Farneti. Alla fine, a processo c’era andato solo Basconi che ha sempre sostenuto, tramite i suoi legali, di aver sparato esclusivamente per legittima difesa, all’altezza delle gomme del Mercedes dove era seduto il 23enne. Il 7 novembre 2016 è arrivata la sentenza di primo grado, emessa in abbreviato dal gup Francesca Zagoreo. Stando alle motivazioni del verdetto, gli spari contro il suv non avrebbero rappresentato l’extrema ratio dei carabinieri. Si potevano scegliere opzioni alternative, come ad esempio sparare in aria a scopo intimidatorio, soprattutto perchè al momento dell’esplosione dei colpi non era un dato certo se la banda era in possesso di armi oppure no. Da parte dell’imputato, sicuro il ricorso in Cassazione.

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