Inchiesta sull’untore Pinti, la procura chiude le indagini. Due le accuse contestate all’ex autotrasportatore di 35 anni, da giugno relegato in carcere: omicidio volontario aggravato e lesioni personali gravissime. La notifica della conclusione delle indagini preliminari è stata notificata nei giorni scorsi alle parti in cause. La difesa, rappresentata dall’avvocato Maria Alessandra Tatò, chiederà molto probabilmente un interrogatorio per Claudio Pinti, recluso a Rebibbia. Poi, come ulteriore passaggio, dovrà esserci l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Sono due le parti lese: c’è Romina, ex compagna di Pinti che ha scoperto di aver contratto il virus lo scorso maggio. E poi ci sono madre e sorella di Giovanna, la donna che ha regalato al 35enne la paternità e che è morta nel giugno 2017 per una patologia tumorale sviluppata in seguito all’Hiv, un virus che – secondo la magistratura – non sarebbe mai stato curato (ad eccezione dei mesi della gravidanza per non infettare la bimba che aveva in grembo). La chiusura dell’inchiesta è stata decretata pochi giorni dopo la discussione, nell’ambito di un incidente probatorio, della perizia affidata dal gip a una virologa e una infettivologa. I loro riscontri, eseguiti su base documentale, hanno fatto emergere una coincidenza tra il ceppo di trasmissione di Pinti e quello delle due donne. In sostanza, è plausibile pensare che sia stato il 35enne a infettare entrambe le vittime. Una non c’è più. L’altra, una volta scoperto il virus, lo ha denunciato, raccontando anche la sua storia all’interno del programma Le Iene.
(Fe.Ser.)
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