di Roberto Sopranzi
Sono corinaldese. Corinaldo è un paese dove non si nasce più perché l’ospedale in cui ho visto la luce io è stato chiuso da un pezzo. Non so dunque se i bambini e i ragazzi che oggi vivono in questo luogo meraviglioso, così ricco di storia, abbiano il mio stesso dna. Se ce l’hanno allora vuol dire che come me sono abituati a convivere con il senso della tragedia. Sì perché la prima cosa che apprende in vita sua un vero corinaldese è il numero delle coltellate inferte a Maria Goretti, la adolescente che fu poi uccisa a Nettuno. Un fattaccio che oggi verrebbe sbrigativamente liquidato come femminicidio e che invece per la Chiesa, a inizio Novecento, assurse a martirio. Confesso che mi abbia colpito molto il fatto che i notiziari sulla tragedia abbiano identificato Corinaldo come “un paesino vicino ad Ancona” e non come mi sarei aspettato e cioè “la cittadina di Santa Maria Goretti”. È come se se parlando di Cascia si ignorasse Santa Rita o se si scoprisse per la prima volta l’esistenza di Betlemme e la si definisse, mutatis mutandis s’intende, “un paesello vicino a Gerusalemme”. Da ex cronista, lo ammetto, ho avuto la sensazione di un lutto devastante vestito senza la dignità che meritava. Ma ancor di più non me l’aspettavo dal Papa che è incorso nella stessa amnesia mentre esprimeva il suo dolore in piazza San Pietro. Mi sono così sentito solo ad affrontare il peso di questa sciagura. Senza neppure il pur debole conforto della mia identità di corinaldese: la forza resistente di quel dna fatalista, di quel modo di vivere sospeso tra gioia e catastrofe di chi sa che può sempre arrivare una coltellata a recidere da un momento all’altro il filo sottile della sua serenità. Ed ora, privato come mi sento di quella difesa, della mia corazza contro il peggio, di quella congenita disposizione al baratro, mi trovo a piangere indifeso questa immane tragedia come un cittadino di un paese qualsiasi poco più che anonimo. E che d’ora in avanti non sarà il paese di Santa Maria Goretti ma il paese della sciagurata Lanterna Azzurra, per sempre luminescente di morte.
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