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Dalla casa di vetro
alle riunioni carbonare:
la metamorfosi dei 5Stelle

IL COMMENTO - Luigi Di Maio impegnato in un tour de force in varie regioni per scrivere la Carta dei Valori, incontri rigorosamente vietati alla stampa. Ieri è stata la volta di Ancona, al Teatro Sperimentale. Il capo politico approfitta di questa estate torrida per capitalizzare il risultato e rilanciare nei confronti degli avversari interni. Trasforma il movimento in partito e lo plasma a sua immagine e somiglianza

 

Luigi Di Maio ieri sera allo Sperimentale di Ancona

 

di Fabrizio Cambriani

Accantonata definitivamente l’era dello streaming e delle pareti di vetro, il Movimento 5 Stelle sta dando corso agli incontri severamente vietati alla stampa. Una roba degna del peggiore Pcus brezneviano, nel tour de force che sta impegnando il suo capo politico, il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, in tutte le regioni d’Italia. Solo ieri è toccato a Lombardia, Veneto e Marche. Una corsa contro il tempo, da qui al 4 ottobre – ricorrenza dei dieci anni di vita del movimento – per scrivere una Carta dei Valori. Ma anche per mettere mano all’intera organizzazione di quello che da movimento si sta rapidamente trasformando in nuovo partito politico. L’appuntamento è per le 19 al Teatro Sperimentale di Ancona. La temperatura è di 33° con il 52% di umidità relativa. Roba che uno vorrebbe decisamente essere al mare, ma da lì, Portonovo è solo un miraggio. Penso che bisognerebbe fare un monumento a chi ha detto che la politica è sudore e polvere.

I senatori Sergio Romagnoli (a destra) e Giorgio Fede (a sinistra) con Luigi Di Maio

Di Maio arriva con quaranta minuti di ritardo – dice che ha forato – ma parte deciso e fissa perbene i paletti della discussione. Anzi del monologo. «Occorre riattivare i territori, senza fare l’analisi del voto». Ma lui evidentemente deve avere ben chiaro il quadro sui territori. E deve essere un’analisi impietosa se denuncia a più riprese la mancanza di obiettivi comuni da perseguire e un altissimo tasso di litigiosità interna. Tanto che, di elezione in elezione e a furia di litigare, si sono letteralmente svuotati i gruppi locali. I probiviri – continua Di Maio – hanno oltre 1500 pratiche arretrate di richieste di espulsione. Va giù duro riscuotendo ora timidi applausi: «Ho visto in questi anni troppa arroganza». Ora autentiche ovazioni: «Questo movimento lo facciamo ripartire solo se lo depuriamo dagli usurpatori».
C’è bisogno di un intervento radicale, una incisiva e immediata cura da cavallo. E già, perché in un solo anno l’emorragia è stata gravissima. Quasi esiziale: 6 milioni e 130mila voti perduti alle Europee, sui quasi 10 milioni e 700mila raccolti alle Politiche del 2018. Nelle Marche si è passati dai 316mila e 400 voti ai 141mila 240 voti. Ben 175mila voti in meno. Che in questo caso rappresentano, da soli, più del totale dei voti presi dal Partito Democratico. Che il 26 maggio scorso ha raccolto 170mila 600 voti.

Il sindaco di Petriolo Domenico Luciani sul palco con i due senatori pentastellati

La cura che Di Maio propone è una nuova organizzazione. Sia nel livello nazionale che regionale. Bisogna costituire dei dipartimenti per aree tematiche con dei responsabili. Che però abbiano il ruolo di facilitatori e non di decisori. Con una verifica a metà mandato e la possibilità di recall. A livello regionale occorre, sempre nella modalità di facilitatore, chi si occupi di formazione e di proselitismo. Ma anche di comprovate competenze capaci di dialogare con i mondi produttivi locali. Una brusca accelerazione che conduce a una mutazione genetica di quello che era il Movimento fondato da Beppe Grillo dove uno valeva uno. Oggi Di Maio, l’attuale capo politico, forte di una riconferma nel suo ruolo, approfitta di questa estate torrida, per capitalizzare il risultato e rilanciare nei confronti degli avversari interni. Trasforma il movimento in partito e lo plasma a sua immagine e somiglianza. Tentando di dargli anche una propria identità, con la scrittura della Carta dei Valori.

Uno non vale più uno, ma ben presto ci sarà uno che ordina, stabilisce e dispone, mentre tutti gli altri eseguono. E se la cosa non fosse abbastanza chiara, Di Maio dissipa ogni dubbio in un passaggio: “Faccio outing, lo staff sono io (lo staff è l’organismo che decide liste e candidature). “Le staff c’est moi, avrebbe detto Luigi XIV, a metà del diciassettesimo secolo, profetizzando, per l’occasione, un contrappasso ancora sconosciuto e di là da venire: Rousseau.

Concetti che dopo quasi tre ore di dibattito, al ritmo di due minuti a intervento, riprende e ripropone integralmente senza nulla concedere alle osservazioni e critiche espresse dagli attivisti intervenuti. Anzi, in un passaggio tranchant, certifica tutte le contraddizioni e il palpabile disagio: “Non applauditemi. Nel corso del dibattito avete applaudito tutto e tutto il suo contrario: non siete affidabili.”

I musi sono lunghi. La tensione sale fino al punto che si finisce per litigare. Dalla platea volano parole grosse contro un militante. Le diverse tifoserie si fanno sentire, tanto che è lo stesso Di Maio a dover intervenire per raffreddare i bollenti spiriti. In sala sono tantissimi gli sguardi perplessi che capita di incrociare. Non so perché, ma mi viene in mente la canzone di Luigi Tenco, un giorno dopo l’altro in quel passaggio che dice: “e gli occhi intorno cercano quell’avvenire che avevamo sognato, ma i sogni sono ancora sogni e l’avvenire è quasi passato.”

E già, l’avvenire per il Movimento 5 Stelle a guida Di Maio, dopo la batosta delle europee, sembra ormai passato per sempre. Forse perché, nei suoi confronti e manco fosse un Renzi qualsiasi, non ha usato una parola di autocritica nel merito delle scelte fatte. E le poche volte che lo ha fatto – stavolta come un Berlusconi qualunque – ha evidenziato come in Parlamento non disponesse della maggioranza assoluta e dovesse ogni volta mediare e scendere a compromessi: “Ogni volta, io Conte e quell’altro là ci dobbiamo sedere e trattare.”

Scuse e pretesti che non bastano a spiegare il perché, per esempio, non si è voluta votare in Parlamento una mozione sull’emergenza ambientale in Italia. O del perché non si alza nemmeno un sopracciglio sui rischi di inquinamento elettromagnetico e non solo che comporta il 5G. Temi un tempo cavalli di battaglia che si montavano con fiera intransigenza. Ma che una volta giunti al governo vengono accantonati nel dimenticatoio.

L’incontro finisce poco prima delle 23.30. Non c’è nemmeno tempo per due passi in centro. Si esce dal teatro con sempre la canzone di Tenco in mente: “Qualcuno anche questa sera torna a casa deluso piano, piano. Un giorno dopo l’altro la vita se ne va e la speranza ormai è un’abitudine…”

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