Donne contagiate con il virus dell’Hiv, Claudio Pinti ricorre in appello. La decisione di portare il procedimento in secondo grado è stata presa dopo la lettura delle motivazioni della sentenza che lo scorso marzo ha condannato il 36enne a scontare 16 anni e 8 mesi di reclusione. Due i reati contestati: lesioni personali gravissime, per il contagio dell’ex fidanzata Romina Scaloni, e omicidio volontario, per la morte dell’ex convivente, deceduta nel giugno 2017 per una patologia tumorale legata alla presenza del virus. Pinti ha impugnato la sentenza con un ricorso di 40 pagine redatte dal nuovo difensore, l’avvocato Massimo Rao Camemi del Foro di Roma. In sostanza, viene richiesta la revisione dell’intera vicenda, a partire dall’accusa di grave. Il 36enne, recluso a Rebibbia e sieropositivo da una decina di anni, avrebbe parlato del suo stato di salute alla Gorini subito dopo aver scoperto il virus e in concomitanza dell’inizio della loro relazione. Non le avrebbe nascosto nulla. E non le avrebbe neanche impedito di curarsi, prima per tenere sotto controllo il virus e poi la malattia che l’ha portata alla morte, come invece sostenuto dalla procura e avallato dal gup Moscaroli in sede di processo. Stando alla difesa, Pinti non avrebbe mai tolto alla donna il libero arbitrio sulle sue scelte, comprese quelle relative a eventuali terapie farmacologiche. Nessun plagio, dunque. Nelle motivazioni, viene chiesta l’assoluzione per Pinti perchè il fatto non sussiste. In subordine, c’è la derubricazione del reato in omicidio colposo e non più volontario, a causa della mancanza di dolo. Sul filone dell’accusa delle lesioni gravissime, è stato chiesto nel ricorso la rivalutazione della pena e con essa anche la concessione delle attenuanti generiche nei confronti dell’imputato. Pinti ha anche deciso di impugnare il provvedimento con cui il 17 gennaio il giudice aveva respinto l’istanza della difesa di poter rinviare l’udienza per l’assenza dell’imputato. Il 36enne – che all’epoca era ricoverato all’ospedale di Viterbo – aveva rifiutato di comparire in aula, per poi cambiare idea il giorno prima dell’udienza. Nonostante la richiesta di poter venire in aula, il giudice aveva comunque celebrato il processo.
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