Traffico illecito di rifiuti, ammassati in siti non autorizzati: 22 indagati, cinque misure cautelari applicate e sequestri per quasi 5 milioni di euro. Sono i risultati ottenuti dai carabinieri forestali di Ancona, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia, nell’ambito dell’opreazione ‘Fango & Cash’. Sotto indagine, per abuso d’ufficio, ci sono anche un funzionario e un dirigente del Comune di Fabriano. Sono accusati di non aver eseguito i controlli in una cava, rendendo così possibili gli scavi e lo smaltimento dei rifiuti. Coinvolto anche un dipendente della Provincia di Ancona.
Due persone si trovano agli arresti domiciliari: M.E. e M.M., rispettivamente di anni 64 e 36, entrambi residenti in Provincia di Ancona. una colpita da obbligo di dimora, due da misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriale. Tutte accusate del reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti speciali e due di esse anche per corruzione di pubblici ufficiali e bancarotta fraudolenta. Disposto inoltre il sequestro per equivalente di denaro o altri beni per un totale di 4.969.924 euro, attraverso il blocco dei conti correnti bancari e postali di 4 indagati e 4 società -, delle quali 3 con sede legale in Provincia di Ancona e una a Rimini – accusati di aver concorso nell’esecuzione di traffici illeciti di rifiuti speciali da demolizione, terrosi e organici, anche contaminati da inquinanti, tra cui idrocarburi, catrame, plastiche e metalli, per un totale di 640mila tonnellate. Tali rifiuti, provenienti da oltre 50 cantieri nelle Provincie di Ancona e Macerata sono stati occultati a diverso titolo in tre cave nei Comuni di Fabriano, Arcevia e Jesi, in un terreno agricolo a Chiaravalle, in tre impianti di gestione rifiuti da demolizione e terrosi/lavorazione inerti rispettivamente nei Comuni di Castelbellino, Corridonia e Camerata Picena, e in un cantiere edile a Camerata Picena.
Sequestrati, infine, sempre in esecuzione di ordinanza del Gip, 76 camion e 7 mezzi d’opera a carico di 2 società con sedi legali nei Comuni di Castelbellino e Ancona, utilizzati per trasportare illegalmente i rifiuti – anche con formulari di trasporto e certificati di analisi falsi – ed eseguire scavi abusivi di materiale inerte, tombando contestualmente i rifiuti in due cave di pietra in fase di rinaturalizzazione nei Comuni di Fabriano ed Arcevia.
Dal quadro indiziario emerge un ampio disegno criminoso, volto all’ottenimento di un rilevante ingiusto profitto economico, messo in campo da due soggetti – amministratori di fatto di una società di gestione e lavorazione dei rifiuti da demolizione e terrosi, sita in Provincia di Ancona –, i quali, con il concorso di altri 20 indagati, hanno posto in essere traffici illeciti di rifiuti speciali da demolizione, organici e terrosi, omettendo di provvedere alle spese di recupero e conferimento presso siti autorizzati.
Abbattendo tali spese, gli indagati riuscivano ad acquisire appalti presso numerosi cantieri della Provincia di Ancona, evitando la concorrenza delle altre aziende locali. I rifiuti terrosi, giustificati come terreno vegetale da riutilizzare per la rinaturalizzazione, venivano anche occultati presso siti di cava, sospesi o pignorati, dove, contestualmente agli scarichi dei rifiuti, veniva prelevato abusivamente un ingente quantitativo di materiale inerte destinato poi al commercio nei cantieri edili, così da dissimulare di fatto lo stato di crisi delle società autorizzate alla coltivazione delle cave, riconducibili ad uno dei due indagati. Il prelievo illegale era reso possibile anche dai mancati controlli da parte delle autorità preposte, grazie al concorso di un funzionario e un dirigente del Comune di Fabriano, di un funzionario della Provincia di Ancona e di un funzionario della Regione Umbria, tutti indagati a diverso titolo per corruzione e abuso d’ufficio. In particolare, in una cava nel Comune di Arcevia – vincolata da pignoramento ed amministrata da uno dei due arrestati – venivano occultate in pochi mesi non meno di 450 tonnellate di rifiuti organici all’interno di una buca scavata nel materiale inerte, con evidente e serio rischio di inquinare le acque di un lago di falda limitrofo. Tali rifiuti risultavano provenire da un impianto di gestione e produzione compost nel comune di Senigallia, il cui co-amministratore di fatto, – B.L. di anni 47 residente in Provincia di Ancona -, colpito da misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriale, si accordava con il gestore della cava per lo smaltimento illecito del rifiuto, risparmiando sensibilmente sulle spese di recupero. Nel medesimo sito venivano trasportate in pochi mesi altre 3.240 tonnellate di rifiuti terrosi, anche frammisti a catrame ed altri materiali, provenienti da 10 cantieri siti principalmente tra Senigallia e Marotta e nell’entroterra arceviese.
Inoltre, con il concorso del co-amministratore di un impianto di frantumazione inerti sito nel Comune di Camerata Picena, – V.R. di anni 40 residente in Provincia di Ancona – colpito anch’esso da misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriale, i due arrestati concordavano lo smaltimento illecito di non meno di 3.480 tonnellate di rifiuti terrosi, alcuni dei quali contaminati da idrocarburi, provenienti da cantiere sito nel Porto di Ancona, altri, invece, contaminati da catrame, provenienti da non meno di 13 cantieri tra cui porto e stazione ferroviaria di Ancona. I rifiuti, che viaggiavano con formulari recanti destinazione impianto di gestione sito a Castelbellino, in realtà venivano scaricati a Camerata Picena, in impianto non autorizzato a ricevere rifiuti, e, successivamente, ricaricati su camion del succitato impianto per essere poi smaltiti come terreno vegetale presso una cava di ghiaia sita nel comune di Jesi, con serio rischio di inquinamento dell’area agricola. Altre 3.710 tonnellate di rifiuti terrosi venivano trasportate con i camion dell’azienda co-amministrata dai due arrestati, da cantieri ferroviari siti in Provincia di Macerata sino ad un impianto di gestione rifiuti sito in località Colbuccaro di Corridonia, con formulari di trasporto rifiuti che, invece, recavano quale sito di destinazione l’impianto di Castelbellino. In questo modo, i due soggetti risparmiavano sulle spese di trasporto dei rifiuti, che venivano conferiti senza alcuna tracciabilità al’impianto di Colbuccaro, grazie ad un accordo criminoso con l’Amministratore di quest’ultimo. Numerosi altri conferimenti illeciti venivano pattuiti sia con il titolare di un’azienda agricola sita nel Comune di Chiaravalle, dove su area agricola venivano scaricate 1.500 tonnellate di rifiuti terrosi provenienti da cantieri in Comune di Montemarciano e aree limitrofe, sia con il titolare di un’azienda di costruzioni di Belvedere Ostrense, con il quale veniva concordato lo scarico illecito di altre 480 tonnellate di rifiuti terrosi presso un cantiere sito nel Comune di Camerata Picena. Tutti i trasporti viaggiavano con formulari recanti quale sito di destinazione Castelbellino, venendo, però, di fatto scaricati in siti non autorizzati, allo scopo di risparmiare sui trasporti, ma generando, così, un serio rischio di contaminazione delle aree agricole.
Risultano documentati altri viaggi da diversi cantieri in Provincia di Ancona, con rifiuti da demolizione privi di analisi, che venivano trasportati con falsi codici cer relativi al cemento. Ciò, al fine di evitare i costi dell’esecuzione delle analisi dei rifiuti, stante la possibilità di trasportare i rifiuti da cemento senza il certificato di analisi. Predisposti inoltre con il concorso del tecnico di un noto laboratorio di analisi di Ancona, dei certificati di analisi falsi, per poter trasportare rifiuti terrosi con parametri analitici irregolari, provenienti da un cantiere di Viale della Vittoria in Ancona, facendoli passare per rifiuti da demolizione. Presso il sito di gestione dei rifiuti co-amministrato dai due arrestati è stata accertata una gestione totalmente illegale dei rifiuti, con accumulo di rifiuti terrosi e da demolizione in quantitativi enormemente superiori alle autorizzazioni, pari a 290.000 tonnellate di rifiuti terrosi e 328.000 tonnellate di rifiuti da demolizione. Molti dei rifiuti accumulati illegalmente, peraltro senza subire alcuna operazione di cernita, risultavano di natura ignota, a causa del fatto che molte ditte del settore edilizio scaricavano i rifiuti senza alcuna analisi e formulario di trasporto, e pagando il corrispettivo per lo smaltimento in nero. I due co-amministratori, proiettati ad introitare il massimo guadagno, accumulavano detti rifiuti in quantitativi elevatissimi, anche gettandoli, come si è documentato, dalla sponda del fiume Esino, oppure sotto la scarpata della superstrada in aree private e demaniali.
Accertati almeno 61 conferimenti da parte di piccoli imprenditori i quali scaricavano senza formulario o certificato analisi attestante la natura e soprattutto l’assenza di materiali inquinanti o pericolosi tipo amianto. Detti materiali di natura ignota venivano poi in parte macinati per ricavare stabilizzato da riutilizzare nell’edilizia, con un potenziale pericolo per gli utilizzatori. Il disegno criminoso dei due soggetti, costituito dallo smaltimento illecito dei rifiuti presso tre siti di cava e il contestuale scavo abusivo di materiale litoide poi commercializzato, era reso possibile grazie ad atti corruttivi posti in essere per il tramite di un faccendiere, dipendente della società, – S.R. di anni 54, residente in Provincia di Macerata – colpito da provvedimento di obbligo di dimora. In particolare il faccendiere si occupava di consegnare denaro ad un funzionario della Regione Umbria e ad un Funzionario della Provincia di Ancona per evitare controlli presso le cave vincolate da sequestri o sospensioni, ottenendo anche sblocco delle autorizzazioni per una cava dislocata in Umbria, senza che ve ne fossero i presupposti giuridici. Indagati per abuso d’ufficio anche un funzionario ed un dirigente del Comune di Fabriano per non aver eseguito i controlli presso la cava in Comune di Fabriano, rendendo così possibili gli scavi abusivi e lo smaltimento illecito dei rifiuti. Tutti i militari impiegati nell’operazione sono stati dotati dei dispositivi di protezione individuale per evitare contagio da Covid 19.
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