Test sierologici per coronavirus: a chi farli, quando e a che scopo? A spiegarlo è Luca Butini, vicesindaco di Jesi e medico immunologo degli Ospedali Riuniti di Ancona in un lungo e interessante post pubblicato sulla pagina Fb istituzionale del coImune di Jesi che fa chiarezza su un tema di grande attualità, sfatando molti luoghi comuni.
Si fa un gran parlare negli ultimi giorni di test sierologici per il nuovo Coronavirus. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il sistema immunitario è una complessa ed organizzata rete di organi, cellule, molecole che garantisce ad un organismo la possibilità di sopravvivere in un ambiente in cui siano presenti diversi tipi di germi, alcuni dei quali potenzialmente letali.
Come reagisce il sistema immunitario di un organismo quando viene a contatto con un virus nuovo per quell’organismo? Semplificando molto si può dire che ad una prima linea di difesa per così dire aspecifica ma veloce, che si attiva immediatamente, sentendo che ci si trova di fronte ad un nemico ancor prima di averlo ben identificato (immunità innata) ne subentra una seconda che invece ha bisogno del tempo necessario per identificare il nemico ma che poi sviluppa degli strumenti di difesa su misura per quel nemico (immunità adattativa), strumenti specifici che una volta terminata la prima battaglia vengono riposti ma non smantellati, mantenuti pronti ad intervenire in previsione di un nuovo attacco (memoria immunologica).
Fra questi strumenti su misura vanno ricompresi gli anticorpi, molecole che il sistema immunitario impara via via a produrre nell’arco di alcune settimane, rifinendoli sempre meglio. Gli anticorpi sono rilevabili (anche) nel siero, la parte liquida del sangue che residua una volta sottratti globuli rossi e bianchi, piastrine, fibrinogeno e fattori della coagulazione. I test sierologici per Coronavirus di cui si parla molto in questi giorni vanno a ricercare nel siero la presenza di anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario su misura contro il nuovo Coronavirus. Una prima domanda deve essere: quanto ”su misura”? Due concetti. Su cento persone che abbiano avuto un’infezione da nuovo Coronavirus, quante risultano positive a quel test? Vale a dire, quanto quel test è “sensibile”? E poi, su cento persone che risultino positive al test, quante veramente hanno avuto un contatto con il nuovo Coronavirus? Vale a dire, quanto sono “specifici” gli anticorpi misurati da quel test?
Sensibilità e specificità sono caratteristiche fondamentali per definire la attendibilità di un test sierologico. Una bassa sensibilità produrrà troppi risultati “falsi negativi”, mancando di individuare persone che abbiano avuto un contatto con quel virus. Una bassa specificità produrrà troppi “falsi positivi”, identificando come positive persone che invece quel contatto non l’hanno avuto. Per citare un esempio virtuoso, gli attuali test sierologici per HIV hanno sensibilità e specificità di gran lunga superiori al 99%, non si lasciano mai sfuggire una persona con HIV (se eseguiti al momento giusto) e non battezzano mai come HIV-positiva una persona che non lo sia davvero. Non era così nei primi anni, a metà degli anni ’80 del secolo scorso; i falsi positivi erano piuttosto frequenti e, soprattutto nei primissimi mesi dopo il contagio, c’era il rischio anche che persone infette ed infettanti risultassero falsamente negative.
Una seconda domanda deve essere: se sono positivo per gli anticorpi significa che sono guarito e che il virus non mi infetterà di nuovo? I tempi: una famiglia (“classe”) di anticorpi, IgM, è la prima ad essere prodotta e la sua produzione dura poche settimane, per cui la positività per IgM segnala che l’infezione è recente, possibilmente ancora in corso; il riscontro nel siero di anticorpi di tipo IgG, che vengono invece prodotti a partire da un mese circa dopo l’infezione e sono misurabili nel siero per anni o per sempre, sta ad indicare che l’infezione c’è stata, mesi o anni prima. Gli effetti: citiamo ancora HIV ed altri virus; le persone sieropositive per HIV non sono né guarite dall’HIV né immuni da reinfezioni; le persone sieropositive per il virus dell’Epatite C (HCV) non sono né guarite dall’HCV né immuni da reinfezioni; le persone sieropositive per i virus Herpes Simplex (HSV) non hanno sconfitto l’herpes e non sono immuni dal risveglio dell’infezione; le persone sieropositive per la Rosolia sì, sono immuni da reinfezioni; le persone sieropositive per il Morbillo sì, sono immuni da reinfezioni; le persone sieropositive per il virus dell’Epatite A (HAV) sì, sono immuni da reinfezioni; le persone sieropositive per l’antigene di superficie del virus dell’Epatite B (HBV) sì, sono immuni da reinfezioni. Molti di noi, tra l’altro, sono sieropositivi ed immuni per HBV, Rosolia, Morbillo, HAV grazie alle vaccinazioni.
Dove sta la differenza? Nella capacità che gli anticorpi prodotti dall’organismo in risposta a quell’infezione (o vaccino) siano “neutralizzanti” verso quel virus. Solo in quel caso avranno la capacità di renderci immuni. Nel caso dei test sierologici per il nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 solo neI prossimi mesi scopriremo se e quali test siano attendibili (sensibilità e specificità) per poterne interpretare con sicurezza i risultati, se e quali anticorpi anti- SARS-CoV-2 siano neutralizzanti e quindi se e quali fra i diversi test sierologici siano eventualmente da interpretare come una patente di immunità. Poi si tratterà di capire se e quanto quell’immunità sia temporanea o duratura. L’esecuzione dei test sierologici per nuovo Coronavirus va pertanto condotta esclusivamente sotto una attenta guida sanitaria, conoscendo il rischio ed i tempi di esposizione delle persone su cui lo si va ad eseguire, ad esempio il personale sanitario; solo così potrà dare informazioni attendibili a livello individuale e di salute pubblica. Non trova invece alcuna giustificazione, se non mediatica, la “corsa” alla esecuzione di test, alcuni dei quali di dubbia attendibilità, al di fuori di tali contesti, i cui risultati rischiano di essere non interpretabili e potenzialmente fuorvianti.
I progressi sono rapidi, nelle prossime settimane si capirà meglio cosa aspettarsi dai test sierologici in termini di protezione. Non sarà possibile farne a tappeto, naturalmente, ma eseguire studi su campioni rappresentativi di popolazione ci permetterà di stimare quanti di noi abbiano superato inconsapevolmente l’infezione e quindi possano attendersi, quantomeno per alcuni mesi, di esserne fuori. Da qui si potrà desumere l’eventuale impatto di recrudescenze di infezione. Resta il fatto che le misure di prevenzione che abbiamo imparato non ce le potremo dimenticare, almeno per un po’.
Luca Butini*
*vicesindaco di Jesi e medico immunologo
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