di Federica Nardi
«Lavoro da quando ho 18 anni e una cosa così non mi è mai capitata nella vita. Sono rimasto con 300 euro, finite quelle sono senza un soldo. Dobbiamo rubare? Io per i miei figli potrei arrivare a questo ma mi auguro di no. Come me c’è anche chi sta peggio. C’è qualcuno che ha finito veramente tutto». Antonio, 48 anni, operaio del fabrianese, è solo una delle voci che racconta la crisi dei lavoratori del settore edilizio della ricostruzione ai tempi del coronavirus. Osvaldo, 39 anni, dell’entroterra maceratese, è un gruista e anche lui si è ritrovato con meno della metà dello stipendio, senza alcun preavviso da parte dell’azienda. «E niente cassa integrazione. Ho moglie, bambini, suoceri, rate dell’affitto e dell’auto. Dal mese prossimo ho la corda al collo».
I loro sono nomi di fantasia, dovuti al rischio di perdere il posto del lavoro. Perché nel frattempo le aziende impegnate nella ricostruzione stanno avendo accesso ai fondi sbloccati dal commissario Legnini, con la finalità proprio di evitare un tracollo del genere con lo stop dei cantieri a causa del coronavirus. Ma le nuove povertà sono state veloci ad arrivare, molto più degli aiuti. Osvaldo sta fermo «dal 5 aprile. Prima ho lavorato come muratore – spiega -. La ditta ha detto “vi mettiamo sotto cassa integrazione”. Ma poi mi sono arrivati 790 euro per marzo, invece dello stipendio solito che è di 1.600 euro. Sono rimasto scioccato. Io ho moglie, una figlia piccola, suoceri anziani, rate dell’affitto e del mutuo che solo quelli sono 700 euro. Questo mese tiro avanti come posso, ma dal prossimo ho la corda al collo. Hanno versato i cinque giorni che ho lavorato, ma niente cassa integrazione. E a maggio prenderò zero euro. Mi hanno detto di stare a casa: io certo che rispetto le regole. Ho anche due anziani a casa, non voglio certo contagiarli. Ma siamo in quattro e senza niente. Mi trovo a zero. Non so che fare, mi viene da piangere. È la prima volta che mi trovo in una situazione del genere. Mia moglie faceva assistenza negli ospedali, in regola. Ma adesso anche lei è bloccata e non può lavorare». Il 39enne fa una riflessione: «Ricordiamo che se noi non lavoriamo, loro (le aziende, ndr) non guadagnano. Anche loro non si possono comportare così, appena sono in difficoltà ci lasciano in mezzo alla strada». Se da un lato il lavoro serve a vivere, c’è anche la paura di tornare in cantiere con l’epidemia ancora in corso: «Perché ci sono operai che vengono anche da fuori, che ne so io se quello è contagiato. Noi muratori non possiamo rispettare la distanza di sicurezza per certi lavori. Per passarsi le cose come fai a stare due metri lontani? Fino a ora sono stato a casa per proteggere la mia famiglia e gli altri e ora può essere che esco fuori mi contagio e contagio tutti. È un grande pensiero per me. Se era così – conclude -, era meglio che lavoravo».
Antonio invece, che lavora per una piccola ditta sempre nell’ambito della ricostruzione, non ha ricevuto nemmeno lo stipendio di marzo. «Io sono in cassa integrazione dal primo di marzo e ancora non ho visto niente. Mi ha chiamato ora un collega a cui hanno detto che è tutto bloccato e che se tutto va bene si vedrà qualcosa a fine mese. Ho preso lo stipendio di febbraio a marzo e poi basta. L’azienda prima ci ha detto che ci anticipavano la cassa integrazione, poi che sono in difficoltà. Dei soldi di Legnini noi non abbiamo visto niente. E avevamo lavorato nei cantieri della ricostruzione. Abbiamo chiesto all’Inps, poi alle banche. Ma è un macello anche solo per andarci in banca, perché dovevamo arrivare fino ad Ancona o Pesaro per trovare quelle convenzionate. Inoltre se entro un mese l’Inps non li dà alla banca li dobbiamo restituire noi lavoratori. Quindi è proprio una fregatura».
Il 48 enne va avanti «stringendo e stringendo. Ma già la prossima settimana non so neanche io come fare. Ho due figli, uno va alla scuola privata, che vuole essere pagata. Mia moglie pure lei non ha lo stipendio. Ho anche il mutuo da pagare. Non è facile. Ho colleghi con situazioni anche peggiori». Antonio inoltre, per questioni Isee, non ha nemmeno accesso al buono spesa. «Da quando ho 18 anni lavoro, non mi è mai successa una cosa del genere. Poteva succedere che un mese di stipendio si rimandasse. Anche io ho avuto una piccola azienda e conosco i problemi. Ma una cosa così mai. Siamo in quattro chiusi dentro casa. Nervosismo alle stelle perché quando cominci a non avere economia non è facile. Poi lo Stato non ci aiuta per niente. Ho amici che stanno in America, eccome se sono aiutati. Invece qui le bollette arrivano salate uguale, ho fatto domanda per bloccare il mutuo e ora mi faranno sapere altrimenti non so come pagare. Sono rimasto con 300 euro, finite quelle sono senza una lira. Se tutto va bene, ci hanno detto, se ne riparla il 5 di maggio. E anche in quel caso di soldi se ne riparla il 17 giugno. Come andiamo avanti questi giorni se l’Inps non ci manda niente? Dobbiamo rubare? Io per i miei figli potrei arrivare a questo ma mi auguro di no. Come me c’è anche chi sta peggio. C’è qualcuno che ha finito veramente tutto».
Massimo De Luca, segretario della Fillea Cgil, vede avverarsi i peggiori timori espressi dal sindacato la settimana scorsa: «Nove aziende su dieci non anticipano la cassa integrazione. Lo stesso Legnini si augurava che il decreto aiutasse sì le imprese con la liquidità, ma servisse anche a pagare gli stipendi e anticipare la cassa integrazione. L’imprenditore edile non ha fette di mercato da perdere in 30 giorni, ha semplicemente un blocco del lavoro e poi riprende a lavorare. Quindi la decisione di non anticipare la cassa è veramente grave. Il virus conferma che siamo egoisti e che ognuno pensa per sé. E gli imprenditori edili della nostra provincia sono un esempio concreto – prosegue De Luca -. Vogliono essere ladri di futuro? Tentiamo di riportare sulla retta via il sistema. Questi operai tra mille difficoltà hanno avuto, grazie alle Casse edili, un aiuto che arriverà entro fine mese. Ma, ottenuto quello che si voleva, anche con l’aiuto del sindacato, bisogna che le aziende anticipino la cassa integrazione. Invece ancora oggi la parte debole del sistema deve sperare nell’aiuto dell’Inps. Che ringraziamo per lo sforzo enorme. È un ente messo a dura prova, sappiamo quanti milioni di domande sono arrivate. Il settore edile, enormemente aiutato in questa fase, non ha fatto quello che doveva».
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