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Covid center, D’Ambrosio:
«Il nodo della responsabilità giuridica»

CIVITANOVA - L'ex governatore delle Marche, sulla nuova struttura cita, tre sentenze della Cassazione. In particolare la questione si pone, per medici e dirigenti, se il trasferimento del paziente ha un esito funesto o se vi è un peggioramento delle condizioni. C'è anche una responsabilità sull'organizzazione

 

Il magistrato Vito D’Ambrosio, ex presidente della Regione

 

Fiera di Civitanova, il magistrato Vito D’Ambrosio, ex governatore delle Marche, è stato tra i primi ad avanzare dubbi sul “Progetto 100”, quello del Covid center. Critiche che avevano solo aperto la strada a quelle di altri e in particolare su due punti: la necessità reale della struttura, la sua localizzazione, e il fatto che del progetto fosse stato interessato l’Ordine di Malta. La Regione ha sempre spiegato che ritiene la struttura assolutamente necessaria, perché comunque è un presidio in caso di un nuovo aumento di casi e ricoverati. D’Ambrosio torna sulla questione e lo fa, da magistrato, citando i problemi che possono sorgere da un punto di vista della responsabilità giuridica, per medici e dirigenti.

«Questa telenovela forse sta per finire  (8-10 giorni?), e pazienza se il presidente Ceriscioli, a marzo, aveva promesso la costruzione dell’ospedale (?) in otto giorni. In queste settimane mi è parso di vedere giocare una (brutta) partita di simil bridge, nella quale tre persone giocavano e una no (si chiama tecnicamente morto, imparo da mio fratello, bravo giocatore); la differenza (perciò simil) è che il morto era sempre lo stesso, mentre nelle partite reali cambia ad ogni mano (vero che vorrebbe partecipare Bertolaso, ma lui non è ammissibile). Oggi vorrei sedermi al tavolo contribuendo con una dichiarazione (sempre dal bridge) su un tema finora solo sfiorato: la responsabilità giuridica. Ho trovato tre sentenze che mi sembra si adattino al nostro caso (una struttura alla fiera di Civitanova) dedicata esclusivamente a curare degenti in terapia intensiva o semiintensiva da covid 19. La prima, non recentissima, dice che “una volta che il paziente si presenti presso una struttura medica chiedendo la erogazione di una prestazione professionale, il medico… assume una posizione di garanzia… e anche se non può erogare la prestazione richiesta, deve fare tutto ciò che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente” (Cass, Pen.Sezione 4, n. 13547 ud. 02/12/2011, con la quale è stato condannato al risarcimento un medico, di una clinica odontostomatologica, che si era limitato ad invitare il paziente a recarsi in ospedale senza assicurarsi di informare in modo preciso “i medici di destinazione”). E quindi, chiaramente, non sarà condannato il sanitario soltanto se, oltre ad inviare il paziente in altro ospedale per patologie non curate e non curabili in quello per contagiati da Virus SARS-Cov2, si accerti inoltre che i colleghi “di destinazione” siano informati accuratamente delle esigenze curative del paziente (pena la sua responsabilità personale civile e penale).

Lavori in corso alla Fiera di Civitanova

La seconda, meno risalente, stabilisce che “in tema di colpa medica la A.S.L. risponde civilmente dei danni causati da un medico del Servizio di Continuità Assistenziale, perché, dato il suo inserimento in una struttura complessa, la A.S.L., secondo le leggi civili, risponde (civilmente) per il fatto di lui” (artt.185 codice penale, 1228 codice civile). (Cass. pen. Sez. 4 n.9814 ud. 23/05/2014). Quindi, per un principio generale, la struttura organizzativa, prevista dal SSN, risarcisce i danni da colpa medica (ovviamente in solido con il sanitario).
La terza è quella più recente e più attinente. Il caso riguardava la morte di una donna, sottoposta in una casa di cura privata a parto cesareo, durante il quale si era verificata una emorragia non arrestata in tempo, così che, quando si era provveduto al trasferimento in un ospedale pubblico, i sanitari di questo nosocomio avevano soltanto potuto constatare la morte della paziente. Per questo episodio erano stati condannati il chirurgo ginecologo, per negligenza, l’anestesista per non aver controllato la presenza di sacche di sangue di riserva, e il direttore sanitario, per “colpa da organizzazione” per inottemperanza all’obbligo di curare l’organizzazione in modo da evitare simili eventi. La Corte, dopo aver dichiarato il reato prescritto, rigettava i ricorsi degli imputati, rinviando il caso al giudice civile per il risarcimento del danno. Nella sentenza ci si soffermava, per il caso del direttore sanitario, sulla sua responsabilità, indicandole analiticamente e concludendo, alla luce delle leggi vigenti in materia, che “al direttore sanitario di una casa di cura privata… vanno riconosciute plurime attribuzioni, tra la le quali… vanno ricomprese quelle di carattere manageriale e medico-legale, in quanto egli verifica l’appropriatezza delle prestazioni medico-chirurgiche erogate… organizza la logistica dei pazienti e, soprattutto, governa la gestione del rischio clinico (Cass. Pen. sez. 4, sentenza n. 32477 del 19/02/2019).

Quindi, dalle sentenze citate, emerge chiaramente che, nel caso di esito funesto o di aggravamento di patologia preesistente di un/una paziente, conseguenza di una non corretta organizzazione per la gestione di rischi clinici non derivanti  da Covid 19, (atteso che condotte inappropriate per affrontare la patologia da Covid 19 sarebbero in gran parte esenti da colpa per la mancanza di linee guida consolidate per la gestione di tale pochissimo conosciuta patologia), ci troveremmo in un caso di responsabilità penale, e civile, non solo degli operatori, ma anche del direttore sanitario di tale struttura sanitaria privata, nonché di una responsabilità civile a carico della Asl competente, anche nel caso di colpa professionale derivante da una non corretta organizzazione del personale, sottoposto ad eccessivo carico di lavoro (svolto in aggiunta a quello ordinario). Meditate, gente, meditate, diceva un carosello televisivo di qualche anno fa».

 

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