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La difesa della banda dello spray:
«Ma quale associazione per rubare,
gli imputati si scannavano tra loro»

ANCONA - Udienza del processo per la strage tutta dedicata alle arringhe dei difensori dei sei ragazzi della Bassa Modenese. Non ci sarebbero evidenze per provare le accuse più gravi: l'associazione a delinquere e l'omicidio preterintenzionale. «Tutti alla Lanterna Azzurra la stessa notte? Una casualità»

Haddada

 

«Ma quali amici, alcuni imputati erano rivali tra loro». «A Corinaldo la stessa notte per rubare? Una casualità. Nessuno si era messo d’accordo». E’ la linea difensiva prevalsa nell’udienza del processo per la strage della Lanterna Azzurra dedicata quest’oggi alle arringhe degli avvocati dei sei imputati, accusati di aver creato con l’utilizzo dello spray al peperoncino il fuggi fuggi infernale che la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018 ha fatto sei vittime e oltre 200 feriti. Per Ugo Di Puorto, Andrea Cavallari, Moez Akari, Raffaele Mormone, Souhaib Haddada e Badr Amouiyah (associazione a delinquere, omicidio preterintenzionale, lesioni personali e singoli episodi di furti e rapine) si procede con il rito abbreviato. La scorsa udienza, la procura aveva chiesto complessivamente più di cento anni di carcere per tutti i capi di imputazione. All’appello manca un solo difensore: Alessandro Cristofori, legale di Amouiyah. Parlerà il 23 luglio.

Andrea Cavallari

Il 30 è prevista la sentenza. Nell’udienza di oggi, le difese hanno rimarcato su due punti: l’assenza dei presupposti per provare l’associazione a delinquere e la mancanza di evidenze per attribuire ai sei l’omicidio preterintenzionale. Per quanto riguarda il primo punto, i difensori hanno battuto sull’assenza di amicizie e rapporti stabili tra parte degli imputati. Anzi, tra loro ci sarebbe stato un rapporto di rivalità dettato dalla «concorrenza» per appropriarsi nei locali di mezza Italia delle collane da sfilare in pista. Il concetto, come ribadito da Francesco Muzzioli (difesa Cavallari) era: «meno si era (per rubare, ndr) e meglio era». Inoltre, non ci sarebbero stati dei ruoli prestabiliti all’interno della presunta organizzazione e gli imputati sono arrivati «a scannarsi per dividere gli utili, altro che associazione». Per quanto riguarda la notte di Corinaldo, le difese hanno sostenuto che le tre auto arrivate alla Lanterna non si erano messe d’accordo. Ognuno è arrivato «in maniera autonoma. Non c’era un accordo preventivo. Alcuni fino all’ultimo non sapevano neanche come venire» ha detto ha detto l’avvocato Gianluca Scalera (Cavallari, Haddada e Akari). Nessuna prova schiacciante neanche per la contestazione dell’omicidio preterintenzionale e l’utilizzo dello spray da parte degli imputati. Per il legale Scalera le vittime  sono morte per la mancanza delle misure di sicurezza dell’inadeguatezza del locale. C’era anche un impianto di areazione ‘farlocco’ e le balaustra esterna non era idonea a sopportare le sollecitazioni create dal deflusso delle persone». E perchè quella stessa notte a Corinaldo ci sarebbero stati tutti e sei gli imputati? Il coro della difesa: «una casualità». La notte della tragedia hanno perso la vita cinque adolescenti (Asia Nasoni, Emma Fabini, Benedetta Vitali, Mattia Orlandi, Daniele Pongetti) e una mamma di 39 anni, Eleonora Girolimini.

(fe.ser)

 

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