di Federica Serfilippi
«Gli imputati si sono accordati per recarsi alla Lanterna Azzurra di Corinaldo, ove era prevista la partecipazione del cantante Sfera Ebbasta, allo scopo di scippare gioielli ai clienti del locale». Lo spray al peperoncino è stato utilizzato per «agevolare il perfezionamento delle azioni predatorie, garantirsi l’impunità e guadagnare la fuga». I sei imputati? «Criminali seriali, dotati di elevate professionalità e organizzazione sul piano strettamente operativo».
Sono gli stralci delle motivazioni della sentenza che lo scorso 30 luglio ha condannato sei ragazzi della Bassa Modenese (Andrea Cavallari, Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Moez Akari, Badr Amouyah e Souhaib Haddada) a complessivi 68 anni e 8 mesi di reclusione per aver scatenato la notte del 7 dicembre 2018 il panico infernale all’interno della discoteca di Corinaldo, facendo sei vittime (gli adolescenti Mattia Orlandi, Daniele Pongetti, Emma Fabini, Benedetta Vitalia, Asia Nasoni e la 39enne Eleonora Girolimini) e quasi 200 feriti. Tra i reati contestati (omicidio preterintenzionale, lesioni personali, furti e rapine) il gup ha Paola Moscaroli ha fatto cadere in sede di sentenza l’accusa di associazione a delinquere. «Gli imputati – ha scritto il giudice nelle motivazioni – hanno solitamente agito in più squadre e, a seconda delle circostanze, si sono scambiati tra loro». Due, essenzialmente, i gruppi fissi con altrettante mine vaganti: Haddada e Amouyah. «Nel compiere atti predatori – ha continuato il gup – i componenti delle formazioni si suddividevano i ruoli, anche in modo intercambiabile. Non vi è debbio che gli imputati fossero dei criminali seriali, dotati di elevate professionalità e organizzazione sul piano strettamente operativo, nel compimento cioè delle reiterate azioni criminose. Non si ritiene però pienamente formata la prova della sussistenza del reato associativo». Per il giudice mancano dei particolari fondamentali, come il requisito strutturale: solo poche volte i sei avrebbero agito coordinandosi tutti insieme, come una sola squadra. E poi, i «monili sottratti non entravano nella disponibilità di tutti gli associati, ma erano monetizzati dagli stessi autori». Non c’era insomma una «cassa comune», ma il bottino si spartiva solo tra coloro che avevano partecipato alla «singola spedizione».
Stando a quanto scritto nelle 86 pagine, i reati predatori commessi in discoteche di mezza Italia (e a volte con l’uso dello spray al peperoncino) consentivano agli imputati di «alimentare uno stile di vita polarizzato sull’uso di stupefacenti e sull’acquisto di accessori di moda di lusso». In riferimento alla tragedia della Lanterna e alla configurabilità dell’omicidio preterintenzionale: «Il gruppo Di Puorto, Mormone, Amouyah era munito di spray urticante e lo ha utilizzato per agevolare il perfezionamento delle azioni predatorie, garantirsi l’impunità e guadagnare la fuga». Cavallari, Haddada e Akari con ragionevole certezza «erano a conoscenza dell’uso dello spray da parte dei complici, avendone a loro volta approfittato; in ogni caso, ben sapendo che si trattava di una modalità ricorrente nell’azione delittuosa di ciascuno, i tre hanno senz’altro accettato l’evenienza, del tutto naturale e probabile, che si verificasse tale circostanza». E dunque, le lesioni, il panico, la fuga incontrollata, innescata dall’uso dello spray in un locale «chiuso, affollatissimo e con un sistema di aereazione inadeguato». Per il primo gruppetto, quello che effettivamente ha portato la sostanza urticante alla Lanterna (è di Di Puorto l’impronta trovata dalla Scientifica sul flacone rinvenuto sul pavimento) è ravvisabile il «dolo diretto», per la seconda squadra il «dolo eventuale», perchè i componenti «erano del tutto consapevoli della consuetudine dei correi all’utilizzo dello spray quale modalità agevolatrice delle sottrazioni di monili, ed hanno deciso di recarsi insieme a loro a Corinaldo con l’intesa di supportarsi reciprocamente. Essi hanno dunque accettato il rischio dell’effettivo uso dello spray».
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