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Immunità dal Covid,
sotto la lente le cellule della memoria:
«Proteggono più a lungo degli anticorpi»

INTERVISTA a Luca Butini, dirigente del servizio di Immunologia clinica degli Ospedali Riuniti di Ancona: «Lo studio dei cambiamenti indotti sia dall’infezione naturale che dalla vaccinazione nell’espressione di geni e nella produzione di proteine da parte delle cellule dell’immunità ci aiuterà a capire perché alcune persone sviluppano danni gravi ed altre no»

 

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Luca Butini

 

di Francesca Marsili

Quanto dura l’immunità al Sars-Cov 2, sia quella indotta da un vaccino, sia quella scatenata dal contagio del virus? È la domanda che il mondo scientifico si pone, cruciale per capire se le vaccinazioni che stanno per arrivare potranno valere per una stagione oppure per anni, e se chi ha già avuto la malattia corra o meno il rischio di contrarla una seconda volta. Agli interrogativi che ci affliggono dall’inizio della pandemia non ci sono, ancora, risposte definitive, ma alcuni punti fermi iniziano a emergere, perché essendo trascorsi diversi mesi dalla prima ondata, ed essendo in corso la seconda, si possono valutare gli andamenti della risposta di chi si è ammalato in primavera. E mentre la più grande vaccinazione della storia per sconfiggere il Covid-19 ha appena avuto inizio, con Luca Butini, dirigente del servizio di Immunologia clinica degli Ospedali Riuniti di Ancona, proviamo a comprendere cosa la scienza ha scoperto sino ad ora. «Gli anticorpi neutralizzanti generati in risposta al virus Sars CoV2 diminuiscono o addirittura scompaiono dopo qualche mese dall’infezione naturale, vedremo quale sarà la loro durata dopo la vaccinazione – spiega l’esperto a Cronache Maceratesi -. Ma oltre agli anticorpi neutralizzanti, altri protagonisti della risposta immunitaria come linfociti T e linfociti B “memoria” persistono più a lungo, pronti ad innescare rapidamente una risposta protettiva in caso di nuovo contatto con il virus. È lo stesso meccanismo che fa seguito all’inoculazione del vaccino».

In merito alla durata di queste cellule “corazza” della memoria il dottor Butini precisa: «Non è ancora nota, per altri malattie virali è di anni». Sulla capacità del nostro sistema di difesa di intercettare ed eliminare il virus che tiene ostaggio il mondo prosegue senza sosta la ricerca e il contributo arriva anche dal reparto di Immunologia Clinica dell’Ospedale Regionale. «Stiamo analizzando nei guariti (e lo stesso faremo nei vaccinati) elementi aggiuntivi alla misurazione degli anticorpi, alla ricerca dei correlati tanto di immunopatogenesi (il danno) quanto di protezione immunologica – dice il medico jesino – . Lo studio dei cambiamenti indotti sia dall’infezione naturale che dalla vaccinazione nell’espressione di geni e nella produzione di proteine da parte delle cellule dell’immunità ci aiuterà a capire perché alcune persone sviluppano danni gravi a seguito dell’infezione ed altre no, a identificare e a misurare la presenza e la durata nel tempo dei marcatori di immunità».

E riguardo la risposta immunitaria indotta dal “Comirnaty”- nome commerciale del vaccino Pfizer, ad oggi l’unico autorizzato, somministrato e che promette di difenderci dal Covid-19 – cosa sappiamo? «Non abbiamo certezza sulla durata dell’immunità generata dal vaccino, tra sei mesi sapremo senz’altro molto di più, è probabile sia necessario un richiamo – sottolinea l’esperto ribadendo che il SARS-CoV-2, responsabile di Covid-19, è un virus nuovo, studiato solo da dieci mesi -. Conosciamo i sintomi, stiamo comprendendo i meccanismi, studieremo più approfonditamente eventuali “cicatrici” lasciate su determinati organi, ma occorre che passi del tempo, la malattia é troppo recente. Ma una cosa è certa – precisa il dottor Butini – i vaccini sono lo strumento più potente che la scienza abbia sviluppato per proteggere l’umanità. Per raggiungere l’immunità di gregge contro Covid-19 – conclude l’immunologo – occorre arrivare a vaccinare efficacemente il 67 percento della popolazione, i tempi per ottenere una protezione di queste dimensioni, così da avere un impatto sull’evoluzione della malattia, sono dunque piuttosto lunghi. Molto dipenderà anche dalla adesione delle persone alle campagne di vaccinazione». Sulla durata dell’immunità indotta dall’inoculazione del vaccino Pfizer-Biontech, l’Agenzia Italiana del farmaco specifica che la stessa non è ancora definita con certezza perché il periodo di osservazione è stato necessariamente di pochi mesi, ma le conoscenze sugli altri tipi di coronavirus indicano che la protezione dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi. Sebbene dieci mesi siano percepiti dall’intera popolazione, trovatasi ad adeguarsi alle nuove restrizioni imposte dall’emergenza, come un lasso di tempo molto lungo, tale non è per la comunità scientifica, dimostratasi capace di fornire risposte utili in tempi mai così stringenti, con uno sforzo enorme. La normalità, intesa come l’abbandono definitivo delle mascherine e delle norme a cui ci siamo dovuti abituare, non è pertanto vicinissima, è ancora necessario il contributo di tutti.

 

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