di Giampaolo Milzi
«Ci hanno tolto un pezzo di felicità», gridava al microfono uno dei ragazzi presenti ai presidi sotto le sedi della Regione Marche organizzati ad Ancona il mese scorso dal gruppo Priorità alla scuola (Pas), battutosi a gennaio per ripristinare la didattica in presenza in particolare nelle medie superiori. Le regole restrittive legate all’emergenza sanitaria no stop, hanno tolto molto di più che un pezzo di felicità a gran parte di scolari e studenti. In questo articolo ci occupiamo degli effetti collaterali negativi che queste norme restrittive hanno determinato sulla massa dei giovani delle secondarie di secondo grado. Effetti gravi, in molti casi gravissimi. «Una 16enne che frequenta un liceo di Ancona e che seguo nel mio studio privato ha sviluppato attacchi di panico – racconta Sara Nocella, psichiatra e psicoterapeuta -. Era già una mia paziente, ma ha avuto una forte ricaduta nella primavera 2020, durante la prima ondata pandemica. Restava sempre chiusa in casa, aveva cessato tutte le frequentazioni amicali e le sue attività in un gruppo ambientalista e sportive». «Mi sto occupando anche di un’altra liceale, 17enne, entrata in crisi nella primavera scorsa. – prosegue – Queste due pazienti hanno accusato vari disturbi: oltre all’ansia, depressione, perdita di autostima e di forza nell’affrontare i problemi quotidiani, rallentamento della maturazione personale e nella capacità di indipendenza dalla famiglia». Le cause? «La mancanza delle lezione a scuola e di opportunità socio-ricreative e culturali. La psicoterapia è per loro un’ancora di salvezza per uscire dal tunnel».
«Ma la catastrofe, dal mio punto di vista, per la fascia d’età dai 15 ai 20 anni, è arrivata con la seconda ondata del tardo autunno-inizio invero scorso. – spiega Sara Reginella, psicologa e psicoterapeuta con studio ad Ancona -. Il numero dei miei giovani pazienti è più che raddoppiato, sono una decina. C’è perfino chi riesce a procurarsi psicofarmaci di nascosto, passatigli da un amico. Alcuni si stanno letteralmente spegnendo, manca loro la vita affettiva e relazionale. Mancanze cui cercano di sopperire in modo virtuale, incrementando l’uso di social, videochiamate e cellulari. Troppo il tempo passato di fronte alla Tv, che peraltro, sovente, li riempie di messaggi negativi. E queste pratiche non possono essere virtuosamente sostitutive dei contatti e del divertimento con gli altri di tipo reale, naturale, dal vivo». Una situazione che provoca picchi nei disturbi del sonno, nel calo dell’umore, ma anche nell’aggressività. «Un’aggressività, una conflittualità che, in mancanza di valvole di sfogo, si esprime al massimo coi genitori. – prosegue la dott.ssa Reginella – Stare sempre tutti insieme a casa complica i rapporti, c’è poca privacy. Anche perché, soprattutto le mamme, anche loro restano ore davanti al computer per lavorare in smart working, e l’atmosfera familiare si incupisce, va in fibrillazione». Le motivazioni di questa “catastrofe”? Le stesse indicate dalla collega dott.ssa Nocella: forte carenza di attività sociali di vario tipo e la dad a scuola. «Tra i miei pazienti c’è un sensibile peggioramento nello studio anche tra i più bravi e prevedo un forte abbandono scolastico. Molti restano tutto il giorno in pigiama, non si collegano per la dad, e quando lo fanno non riescono a concentrarsi. La dad non è adatta ai giovani, hanno bisogno della presenza fisica del prof, che così può stimolarli meglio, appassionarli, scuoterli quando c’è bisogno, anche attraverso un gesto, uno sguardo, la cosiddetta comunicazione non verbale».
Idealmente, siamo riusciti a calarci un po’ nell’atmosfera distorta “nell’indotto” di un liceo di Ancona, lo scientifico “Galilei”, sentendo uno dei rappresentanti d’istituto degli studenti, Alessandro Di Nuzzo: «La sofferenza della comunità studentesca è evidente, la dad ha arrecato un danno enorme: perdita di efficacia delle lezioni, cali motivazionali, non stare in classe col prof inibisce l’attenzione, crea un grave gap psicologico. E poi ci mancano le assemblee, i laboratori, le feste di istituto nei locali. Insomma, è svanito il senso di comunità scolastica». Già, il gap psicologico. Che degenera in problemi psicologici. «Difficile quantificare su 970 iscritti della mia scuola quanti accusino problemi di ansia, insonnia, umore nero, calo dell’autostima, anche per l’impossibilità di frequentarsi fuori dal liceo, per la rinuncia, a causa dei divieti Covid, agli hobbies e agli impegni esterni. Una mia compagna va da uno psicologo, e personalmente so che almeno altri 4 o 5 studenti ci vanno. Poi ci sono i casi segnalatimi dagli amici. Credo che siano decine i ragazzi del “Galilei” la cui sofferenza stia diventando patologica. Ma non ci siamo sentiti abbandonati dai responsabili d’istituto, anche i prof hanno cercato di starci vicino, si sono interessati ai nostri problemi, ci hanno aiutato – conclude Alessandro -. Sono stati organizzati incontri con un psicologo sui problemi legati al Covid, specialmente l’ansia, in ogni classe (quando c’erano le lezioni in presenza, ndr) ci sono alunni che si sono rivolti allo psicoterapeuta del Cic -Centro informazione consulenza attivo qui a scuola».
Lo psicologo e psicoterapeuta citato da Alessandro è il dott. Marco Massaccesi, che oltre a collaborare con strutture pubbliche, lavora in uno studio privato associato di psicologia. E’ referente anche per il Cic dell’indirizzo Tecnico dell’Istituto “Volterra-Elia” e in quello liceale psicopedagogico del “Rinaldini”. «Vista la chiusura delle scuole, come Cic ci eravamo già organizzati per i colloqui, che durano 30-45 minuti, in modalità smart working – spiega Massaccesi -. C’è stato un aumento di richieste, orientate dai professori, alla ripresa della didattica a gennaio. Aumento sensibile al “Volterra-Elia”, colloqui raddoppiati al “Galilei”. Si tratta per lo più di studenti del I, II e III anno. Al “Rinaldini” invece il Cic ha funzionato molto poco per problemi organizzativi, lì comunque hanno attivato poi uno psicologo che ha avuto qualche incontro coi ragazzi». Massaccesi: «La didattica a distanza ha causato e causa difficoltà di concentrazione e abbassamento del rendimento nello studio, alcuni ragazzi si rifiutano di collegarsi via web alle lezioni. Molti soffrono di ansia da isolamento sociale e di uno stato di incertezza e insicurezza nel tenere sotto controllo la vita quotidiana a causa delle restrizioni Covid e alla risonanza che a queste viene data in famiglia. Anche per questo si deprimono, privati di occasioni ricreative e relazionali con gli amici anche fuori della scuola».
Ha notato casi molto gravi? «Beh, attacchi di panico, angoscia acuta in soggetti che erano già fragili, ansiogeni, due 15enni al “Galilei” e un caso al Volterra”. E al dott. Massaccesi si sono rivolti anche genitori e prof: «Per lo più allarmati per la refrattarietà allo studio dei ragazzi, per il loro isolamento. Ma anche per loro fattori personali. Gli inseganti, ad esempio, preoccupati per il rischio di contagio da Covid, ma soprattutto per le difficoltà nel gestire la dad». Che ne pensa della dad? «Può essere un ausilio, per lezioni mirate a studenti che debbono recuperare lacune, oppure registrate, anche per approfondire certi argomenti. In questo senso la scuola, certo, deve digitalizzarsi. Ma la dad dovrebbe essere limitata a situazioni straordinarie. La didattica in presenza è fondamentale e insostituibile, dal punto di vista formativo e relazionale. Spero che riprenda al più presto. E’ infatti, tra l’altro, paradossale, che alcuni studenti si abituino alla dad, c’è chi mi ha detto che è comoda, si fa da casa. Ma è un’impressione falsata. Questi sono ragazzi che non si rendono conto che la dad acuisce la loro situazione di isolamento già determinata dalla dipendenza tecnologica da videogiochi, chat, social, cellulari, una dipendenza in genere molto aumentata e deleteria». Preziose, in ogni caso, le informazioni e le consulenze dei Cic. «Personalmente, in un massimo di 2, 3, 4 colloqui ho notato un apprezzabile riduzione delle problematiche».
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