di Laura Boccanera
Una torta tutta rosa a forma di uno. Come gli anni di Eva, la prima bambina a nascere da una mamma col Covid nelle Marche. E’ passato un anno da quel 17 marzo 2020 quando all’ospedale di Civitanova Claudia Orciani ha dato alla luce Eva. Un nome che sembrava pensato apposta per quel periodo.
La prima bambina nata dopo tanti morti, il primo raggio di sole dopo i mesi durissimi del Covid, la prima bambina in un’epoca nuova dove gioia e dolore, speranza e paura in quei reparti convivevano in maniera inscindibile. Gioia e paura le ha provate anche Claudia: aveva scoperto di essere positiva i primi giorni di marzo e da Ancona, la città in cui vive, era stata trasferita a Civitanova dove l’ospedale era stato riconvertito completamente a struttura per Covid positivi. A distanza di un anno Claudia torna a quei momenti: «non so dire come mi sia contagiata – racconta – era tutto nuovo all’inizio, non si indossavano neanche le mascherine, io ero in giro, negli ospedali per controlli, potrei averlo preso ovunque. Attorno al 6 di marzo avevo alcuni sintomi e il 13 marzo, dopo giorni di preoccupazione ho composto il numero verde e mi sono fatta venire a prendere dall’ambulanza. Avevo già una polmonite interstiziale e quando mi hanno fatto il tampone e detto che ero positiva sono caduta nella disperazione più totale. Non tanto per la malattia in sé – racconta- quanto piuttosto perché sentivo che i protocolli in Cina parlavano di separazione tra la madre e il bambino appena nato per evitare il contagio. L’idea di essere fonte di vita e di malattia al tempo stesso per mia figlia in quel momento occupava ogni mio pensiero».
Appena arrivata al Pronto soccorso Claudia viene trasferita al reparto di malattie infettive e poi a Civitanova dove l’equipe diretta da Filiberto Di Prospero era stata formata per l’emergenza. Eva sarebbe nata alla 37esima settimana con un parto indotto. «Il nome? L’avevamo scelto già nella fase iniziale della gravidanza, evidentemente già qualcosa intuivo – scherza oggi Claudia – mi indussero il parto e poi siamo rimaste in isolamento per due mesi soltanto io e lei». Ed è proprio questo il momento che la mamma ricorda con maggiore difficoltà: «siamo rimaste in ospedale fino al 20 marzo, poi per evitare di contagiare l’altra mia figlia e mio marito siamo rimaste in un appartamento solo io e Eva. Dormivo con la mascherina per evitare di contagiarla, ho saltato Pasqua e il compleanno di Anita (la sorella maggiore di Eva, ndr), il papà ha potuto abbracciare sua figlia solo dopo due mesi. Emotivamente è stato molto duro e ricordo questo periodo come quello più traumatico». Ma a dispetto del momento storico in cui è nata Eva invece è una bambina serena e rassicurante: «è proprio paciosa – la descrive Claudia – è capace di portare serenità, una dote che in molti le attribuiscono. La più paziente e comprensiva è stata Anita, lei proprio è stata bravissima. Ora sono fiduciosa, spero che questa fase passi presto. Il compleanno lo passeremo in famiglia, noi quattro, con una torta tutta rosa per Eva come ha deciso sua sorella».
In un anno molti protocolli sono cambiati grazie alla quantità di informazioni in più sul virus. A concorrere alla diffusione di maggiore conoscenza anche i medici della pediatria di Civitanova che hanno contribuito con i casi studiati in ospedale alla letteratura scientifica sull’argomento come spiega la dottoressa Enrica Fabbrizi: «molte cose sono cambiate – spiega -, all’inizio anche da parte delle madri c’era il timore di tenere i neonati a contatto per paura di trasmettere la malattia. Le uniche evidenze a disposizione erano quelle che arrivavano dalla Cina che ha attuato protocolli diversi dai nostri. Andando avanti con l’esperienza abbiamo capito che il contagio verticale attraverso la placenta alla nascita era un’evenienza rarissima e che semmai i neonati potevano contagiarsi come tutti per via aerea. Ma la buona notizia è che rispettando le regole base per tutti, ovvero distanziamento durante il sonno, mascherina per la mamma e igiene delle mani era possibile mantenere il neonato in “rooming in” con la madre positiva e che l’allattamento al seno anziché essere un fattore di rischio era altamente consigliato così che la madre potesse trasmettere anche gli anticorpi del virus al bambino. Ogni nostro sforzo è andato verso il benessere della coppia madre bambino, per limitare quella fragilità post partum che veniva accentuata dall’isolamento». Nel corso di questo anno il reparto ha avuto modo però anche di diagnosticare neonati col Covid nati da madri positive: «abbiamo avuto due casi – continua Fabbrizi – il primo era un gemellino partorito al Salesi da una donna risultata positiva dopo il parto ma che non sapeva di esserlo. Il piccolo è risultato fortunatamente asintomatico fatta eccezione per un lieve rialzo febbrile passeggero. Un altro caso invece ha riguardato un neonato divenuto positivo dopo le dimissioni, nato da madre Covid positiva. Anche per lui l’esito è stato favorevole con una negativizzazione rapida». Ricorda in maniera nitida quel momento anche il primario dell’unità di ostetricia e ginecologia Filiberto Di Prospero: «ho capito ancora di più in quell’occasione la forza che le donne possiedono, se possibile resa ancora più tenace dalla gravidanza. Erano mesi di forte isolamento per le donne che avevano partorito, l’unico contatto eravamo noi tutti ricoperti dai dispositivi di protezione eppure sono state tutte capaci di tenere duro e affrontare con fermezza quella condizione che avrebbe messo in crisi chiunque, ma non loro. Ricordo il grande coraggio di Claudia, come delle altre madri che hanno partorito a Civitanova in quei mesi perché positive – rievoca Di Prospero – una decina i parti avvenuti fino a maggio. La nostra preoccupazione primaria era evitare che si sentissero troppo sole. Dal punto di vista scientifico invece abbiamo dimostrato che era possibile anche affrontare un parto spontaneo su Covid positive e con sintomi. Dalla Cina le prime esperienze che arrivavano ci parlavano di un’alta percentuale di cesarei su donne Covid positive. Grazie ad un lavoro di equipe con pneumologi, radiologi, pediatri, abbiamo dimostrato che il parto spontaneo era la scelta migliore perché affrontato senza particolari problematiche anche da pazienti che avevano una polmonite in corso. Oggi la struttura di riferimento regionale per i parti da donne Covid positive è l’ospedale di Pesaro e il Salesi in caso di parti prematuri, ma in questa terza ondata rimane altissima l’allerta per chi si avvia a partorire da noi. L’isolamento è ridotto rispetto ad un anno fa e anche i padri, con un tampone, possono assistere al parto».
Benvenuta piccola Eva: è la prima nata nelle Marche in un Covid Hospital
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