Domiciliari negati, ma scarcerazione vicina. Potrebbe presto lasciare il carcere di Rebibbia per essere trasferito in una struttura ospedaliera Claudio Pinti, il 38enne jesino condannato sia in primo che in secondo grado a scontare 16 anni e 8 mesi di reclusione per aver trasmesso in maniera dolosa l’Hiv all’ex convivente Giovanna Gorini, morta nel 2017 per patologie legate al virus, e all’ex compagna Romina Scaloni, autrice della denuncia che nel 2018 ha fatto scattare l’indagine della Squadra Mobile. La Corte d’Appello di Ancona ha dato mandato alla sezione medica di Rebibbia di «individuare con la massima sollecitudine la struttura in grado di gestire lo stato di salute del Pinti in regime ospedaliero di medicina generale». Da parte dei giudici è stata ritenuta «necessaria e prioritaria l’adozione di un provvedimento che tuteli la salute del detenuto, ripristinando i parametri vitali». La Corte d’Appello era stata interpellata dal difensore di Pinti, l’avvocato Massimo Rao Camemi, che aveva chiesto la sostituzione della misura cautelare del carcere con quella dei domiciliari. L’ultima istanza presentata risulta essere dello scorso febbraio. Una precedente era stata rigettata dai giudici. Per valutare le condizioni del 38enne la Corte ha chiesto una perizia al medico legale Andrea Mancini. Nella relazione è stato dato atto che Pinti ormai da mesi rifiuta la terapia antiretrovirale e che da tempo ha ridotto l’apporto di acqua e cibo come forma di protesta per le mancate scarcerazioni. Stando al perito «non sussistono motivi di incompatibilità carceraria per quanto attiene la patologia di base (AIDS), anche se si ipotizza in breve tempo l’incompatibilità per il deperimento organico dovuto all’assenza di alimentazione». Il ricovero potrà avvenire a fronte di un ulteriore aggravamento del quadro clinico. Come struttura assistenziale è stata indicata dal perito lo Spallanzani di Roma. Il medico legale ha ribadito anche «l’impercorribilità dell’invocata opzione degli arresti domiciliari in ambiente familiare e quindi senza la previsione di uno stretto controllo medico-farmacologico stante le condizioni del paziente per assenza di controllo dei parametri vitali e della patologia di base». Su Pinti, attualmente sorvegliato a vista e seguito dal personale psichiatrico, è pendente il ricorso in Cassazione. Due i reati che lo hanno portato alla condanna: omicidio volontario e lesioni personali gravissime. Romina Scaloni è assistita dall’avvocato Alessandro Scaloni, i familiari della Gorini dai legali Elena Martini e Cristina Bolognini.
(fe.ser)
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