di Marco Benedettelli
Protocolli sanitari, cerimonie funerarie, rapporto umano con le famiglie. La pandemia ha coinvolto il lavoro delle onoranze funebri nel profondo e ha visto gli operatori necrofori in prima linea. Ed oggi c’è la questione vaccini. «Nessuno si è ancora ricordato di noi, non siamo mai stati nominati fra le categorie essenziali, quelle da vaccinare subito – spiega Luca Tabossi, titolare dell’impresa funebre Tabossi di Ancona e vicepresidente di Effs – European Federation of Funeral Service, la Federazione europea che riunisce tutte le associazioni nazionali di imprese funebri. Tabossi è anche membro della giunta esecutiva di Feniof – Federazione Nazionale Onoranze Funebri – Lavoriamo in ambienti altamente a rischio, molto più di tante altre categorie professionali che si è scelto di vaccinare subito. Operiamo in presenza in aree ospedaliere o a diretto contatto con ambienti ad alto rischio. In caso di decesso a casa, siamo noi operatori funebri ad approcciarci al defunto. E anche al di là del Covid, entriamo nelle case, abbiamo relazioni con famiglie, anziani, sia nei nostri uffici, sia durante i riti funebri. Dovremmo mettere noi stessi e i nostri interlocutori in sicurezza». La Federazione onoranze funebri di cui Tabossi è rappresentante ha inviato più di una lettera al ministero della Sanità e alle Regioni per richiamare la necessità di “inserimento del personale in forza alle imprese funebri tra le categorie che svolgono servizi essenziali con accesso prioritario alla vaccinazione Covid-19”. «L’appello è stato è stato sottoscritto e diramato anche per le Marche. Ci auguriamo che avvenga come in Umbria, dove la Regione ha inserito gli operatori funebri fra i lavoratori dei servizi essenziali e avviato le relative vaccinazioni. Nel nord Italia, durante le prima ondata numerosi operatori hanno perso la vita e tuttora il virus con le sue dinamiche è altamente aggressivo», continua Tabossi.
Nelle Marche i decessi per Covid hanno superato quota 2.600. Nella provincia di Ancona, secondo i dati del Gores, se ne contano oltre 800. Per gli operatori la riflessione, in un momento di così forte stress per la comunità, si fa sempre più intensa. «Pensiamo a come è cambiato il rito del distacco – spiega Tabossi – Come richiesto dai protocolli epidemiologici da SarS-Cov2, la bara è subito sigillata. Viene meno l’ultimo saluto lasciato con lo sguardo nella casa funeraria o in camera mortuaria. Questa traumatica limitazione spesso non è chiara fra i parenti dei deceduti di Covid che si rivolgono a noi. Chi l’apprende resta spiazzato, deluso, la tristezza si fa più profonda. Sta a noi avere la sensibilità di accompagnare nel distacco». Attualmente per le salme non c’è la vestizione. Il corpo ancora è subito inserito in una body bag ed è coperto con un telo intriso di formaldeide, un disinfettante. Nelle Marche ad occuparsi del processo è il personale necroforo degli ospedali. Continua a riflettere Tabossi: «Il nostro è un lavoro complesso, che non si improvvisa. Ci vogliono competenze specifiche, conoscenza dei codici ed empatia. È una formazione che si raffina nel tempo. Occorre il massimo rispetto per la dimensione della morte, che non può divenire, come sempre più spesso accade, oggetto di puro marketing. Non siamo dinnanzi a un ramo commerciale qualsiasi. La morte di una persona cara è un evento unico e normalmente raro. Chi si rivolge a noi spesso non ha esperienze a riguardo e si mette nelle mani della nostra professionalità». Da membro dell’Effs, nella prima ondata Luca Tabossi ha curato insieme ai colleghi europei la riscrittura dei protocolli di sicurezza per le pratiche funerarie, in un contesto di totale disorientamento normativo, mentre per i necrofori mancavano anche i dispositivi di protezione personale e per i defunti non era previsto nessun rito di commiato.
«Quella fase traumatica è alle spalle, ma la complessità resta – aggiunge Tabossi – Il desiderio di salutare la persona cara è fortissimo e oggi le cerimonie religiose o laiche sono spesso frequentate al di sopra delle possibilità di distanziamento fisico. Nella nostra regione le norme consentono la presenza di parenti fino al secondo grado. Regola che talvolta è difficile da far rispettare». Alla testimonianza di Tabossi si unisce quella di un altro impresario funebre di Ancona, Boris Cugnoli, titolare delle Onoranze Funebri Alfieri che proprio per colpa del coronavirus ha appena perso lo zio Maurizio Baldini, ex titolare dell’impresa, appena deceduto. «Non poter salutare con una carezza il proprio caro, prima del distacco, è un dramma nel dramma. Lo sappiamo bene. Lo vedo negli occhi di chi arriva per i funerali di parenti morti di Covid. C’è un senso di impotenza, di disarmo, di sconfitta psicologica – racconta Cugnoli – Dopo il personale medico, quando si tratta ci approssimarci ad un defunto ci siamo noi necrofori. Ma ad oggi i Dpcm si sono sempre scordati di inquadrare la nostra categoria. Qualcuno per fare il provocatore dice che la pandemia ci ha portato un aumento di volumi di guadagno. È falso, cambia il tipo di servizio ma il numero di decessi in termini assoluti non ha registrato impennate, almeno presso le nostre onoranze. Sono tanti i fattori da considerare. Certo è che in questi mesi abbiamo dovuto affrontare una mole di difficoltà molto dura».
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