Si aprirà mercoledì prossimo, 2 febbraio, in Regione il tavolo di confronto tra rappresentanti aziendali e sigle sindacali sulla vicenda della riorganizzazione della sede Liomatic di Jesi con il trasferimento di una ventina di dipendenti, dei 40 totali, nelle filiali di Macerata, Arezzo, Pesaro e Perugia. I 24 esterni che riforniscono i distibutori della provincia di Ancona dovranno invece recarsi una volta a settimana a fare carico nei depositi di Macerata e Pesaro. «L’azienda ha accettato l’invito dell’assessore regionale Stefano Aguzzi ma parteciperà in video conferenza» fa sapere Carlo Cotichelli, referente della Filcams Cgil Ancona che sarà presente a Palazzo Raffaello con i colleghi della Fisascat Cisl.
L’incontro sarà l’inizio di un percorso «attraverso il quale chiederemo subito che venga congelata la procedura di chiusura per valutare insieme come tutelare i lavoratori (la ditta ha già chiarito che non ci saranno licenziamenti, ndr). L’azienda ha diritto di fare le sue scelte, ma deve farlo nel rispetto della legge e dei lavoratori – sottolinea Cotichelli – Questi trasferimenti sono stati comunicati con un mese di preavviso, senza alcuna concertazione e al momento non prevedono indennizzi, accompagni, sostentamento economico per chi accetterà. Vorremmo anche capire se per alcune professionalità, magari chi lavora al centralino, possano essere attivate forme di smart working. Poi vorremmo anche capire con che logica sono stati decisi questi trasferimenti: si è tenuto conto dei carichi di famiglia, dell’anzianità di servizio per stabilire le nuove destinazioni? Si è tenuto conto della decina di ‘padroncini’, partite Iva non formalmente dipendenti ma che lavorano per la Liomatic e che rischiano di perdere il lavoro? Insomma va costruito un sistema che accompagni tutti i lavoratori anche se sarà difficile farlo in soli 30 giorni».
I sindacati restano comunque poco convinti della legittimità della scelta aziendale. «Abbiamo scoperto solo ieri che il capannone è stato messo in vendita da dicembre e, sì, nutriamo dubbi dal punto di vista legale su questa procedura che non licenzia nessuno ma che trasferisce il personale a una distanza minima di 50-70 chilometri e che per qualcuno rischia di diventare una scelta obbligata. Perciò abbiamo dato mandato ai nostri legali di studiare la questione – conclude Cotichelli – Ne facciamo anche e soprattutto un problema di prospettiva».
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