di Gianluca Ginella (foto e video Fabio Falcioni)
I palazzi di Kiev appaiono come morsi in certi punti con il cemento e i vetri strappati via dalle esplosioni che hanno lasciato macerie in parte cadute che ora ricoprono le strade che deserte raccontano di una capitale in cui la vita si è interrotta d’improvviso. Ne è cominciata un’altra, per forza. Da questo insieme di macerie, disperazione, morte, sogni spezzati si è staccata nel pomeriggio del 26 febbraio Anna Mamchur, 24 anni, che con uno zainetto fatto in dieci minuti ha salutato la mamma Elena, il fratello Roman, i due cani Marta e Ponia ed è salita a bordo di un’auto in un viaggio per la salvezza. Con lei alcuni conoscenti della madre, direttrice di una scuola ebraica, che avevano un posto in più.
Ma riavvolgiamo il nastro con le parole di Anna che oggi nella redazione di Cronache Maceratesi ha raccontato ciò che è successo non riuscendo a trattenere le lacrime pensando al domani o alle parole che oggi le ha scritto un amico di Chernihiv in un messaggio «forse è l’ultima volta che ci sentiamo – le ha detto – qui la situazione è disperata».
La vita di Anna, web designer di Kiev che il 23 febbraio si era coricata dopo una serata con le amiche in uno shopping mall, e nessun pensiero di una guerra che le sarebbe piombata addosso, cambia quando nelle prime ore del 24 febbraio la madre la sveglia: «Mi dice: Anna dobbiamo preparare le cose, perché è scoppiata la guerra. Fino a quel momento la nostra vita era normale, nessuno pensava alla guerra».
Anna, sua mamma e il fratello Roman, avvocato, hanno preso i loro due amati cani e lasciato l’appartamento in cui vivevano e si sono trasferiti in uno scantinato poco lontano, una sorta di locale caldaia. Lì avevano solo un materasso e «dormivamo sul pavimento. La notte era pericoloso e venivano da noi anche altre persone che conoscevamo». Hanno iniziato a vivere lì «ogni giorno era lo stesso, passavamo le giornate a cercare notizie su ciò che stava accadendo. Come facevamo? Avevo il cellulare e leggevo su internet». Dal basemant dove si erano dovuti rifugiare non uscivano quasi mai «solo per andare a casa a prendere vestiti o qualcosa da mangiare. A parte queste uscite il resto del tempo lo trascorrevamo nello scantinato. Era buio, pauroso».
Anna racconta che la notte si sentivano «rumori, esplosioni. Provavo “many bad feels”, ero impaurita per la vita delle persone, per me la mia famiglia. Mi sembrava di vivere in un “very scared dream”, volevo svegliarmi – dice in lacrime – e vivere come prima. Pensavo di poter morie e che anche la mia famiglia potesse morire».
Poi il 26 febbraio la mamma di Anna le dice che alcuni suoi amici stanno lasciando il Paese e c’è un posto per lei. La meta è raggiungere la cugina della mamma, che vive in Italia, a Civitanova con il compagno, l’avvocato Donatello Prete. Loro la ospiteranno. Tutto a quel punto avverrà in modo rapidissimo. Anna in dieci minuti prepara uno zainetto «ho messo un cambio, lo spazzolino da denti, il sapone, dei biscotti» e sale sull’auto che l’aspetta. A quel punto vede la sua città com’è ora e i palazzi divorati dalle bombe.
«L’auto andava molto veloce, mentre lasciavamo Kiev ho visto le parti della città distrutte». Lungo la strada verso la Romania «ho visto molti soldati ucraini e carri armati. In giro non c’erano quasi auto». Poi Anna arriva al confine con la Romania e lì «c’erano auto in coda per chilometri e tante persone a piedi. Per passare la frontiera servono giorni. Una volta arrivati in Romania abbiamo trovato persone che ci aiutavano che ci davano cibo e ogni cosa che ci potesse servire».
Il viaggio non è finito. La tappa successiva è l’Ungheria. A Budapest le strade di Anna e dei suoi compagni di viaggio si dividono. Lei prende un volo per l’Italia dove ieri è atterrata, a Bologna, e ha trovato ad attenderla il compagno della cugina della mamma, l’avvocato Donatello Prete che in auto l’ha portata a Civitanova dove la sta ospitando nella sua casa.
«Sono andato a prenderla a Bologna l’altra notte in aeroporto – dice l’avvocato Donatello Prete – e dopo quello che ho visto negli occhi delle mamme ucraine che all’aeroporto stringevano i loro figli, credo che tutti noi italiani nonostante i due anni passati dobbiamo fare ogni sforzo possibile per poterli aiutare. Ho letto in quegli sguardi smarrimento, paura, disperazione. È il momento di fare il possibile con quel che si ha perché siamo di fronte purtroppo a una tragedia umanitaria annunciata. Ho deciso di ospitarla con non enormi sacrifici ma è il momento per ognuno di noi di fare qualcosa».
Ma Anna pensa a Kiev, il suo cellulare è ora il ponte che la unisce con le persone che ama e che ha dovuto lasciare. A cominciare dalla mamma «le ho detto di partire ma non vuole, dice che quella è la sua città e non vuole andarsene. La sento più volte al giorno, le scrivo su Whatsapp».
Una vita stravolta dalla guerra scatenata dalla Russia, sul perché, Anna dice «Credo Putin sia pazzo, non c’erano ragioni per la guerra. Ho degli amici in Russia e odiano Putin. Una mia amica russa, che condanna questa guerra, mi ha detto di non scriverle perché potrebbe essere pericoloso anche per lei, perché qualcuno potrebbe intercettare queste conversazioni. Ai russi cosa dice Putin? Che la guerra è per salvarli dai cattivi ucraini». Perché cattivi? Risponde battendo l’indice sulla testa per dire «è matto». Anna non sa quanto tempo dovrà stare lontano dal suo Paese «non so quando la guerra finirà, potrebbero volerci molti anni. La mia famiglia e i miei amici sono a Kiev, non so quando potrò rivederli. Voglio tornare ma non so quanto tempo ci vorrà» dice mettendosi a piangere a questo pensiero. Una speranza è comunque di poter riprendere a lavorare, è impiegata per una compagnia americana, ma per fare il suo lavoro di web designer le serve un computer che ha dovuto lasciare in Ucraina.
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