Sono state chiuse le indagini denominate ‘Oro Nero’, dei carabinieri del Noe di Ancona, avviate a seguito dell’incidente avvenuto alla Raffineria Api l’11 aprile del 2018, sul tetto del serbatoio Tk61. Gli indagati sono 18 e gli avvisi di garanzia sono stati notificati in queste ore, dai militari dell’Arma, su ordine della procura e del pm dorico Irene Bilotta.
I reati contestati, a vario titolo: disastro ambientale, gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, getto pericoloso di cose e lesioni personali a carico di numerosi cittadini. Sono contestati inoltre reati contro la pubblica amministrazione, segnatamente abuso d’ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e istigazione alla corruzione, da parte di un pubblico ufficiale al vertice dell’organo tecnico deputato al controllo, la violazione della normativa sulla gestione degli impianti a rischio di incidente rilevante e la responsabilità amministrativa degli enti nei confronti dell’Api Raffineria.
Le indagini hanno avuto origine a seguito all’evento, in cui si verificò l’inclinazione del tetto galleggiante di un serbatoio situato all’interno del polo petrolifero di proprietà della Api. L’incidente riguardò uno dei serbatoi più grandi d’Europa per una capacità di portata pari a 160mila metri cubi di petrolio greggio, provocando la fuoriuscita di una nuvola di gas idrocarburici e la conseguente percezione di forti e prolungati miasmi da parte dei residenti della zona, oltre al serio pericolo per la sicurezza derivante dal rischio di esplosioni. L’indagine è stata portata avanti con il contributo di consulenti tecnici incaricati dalla procura oltre a una serie di sopralluoghi e campionamenti analitici, osservazioni dirette, testimonianze di persone informate sui fatti, consulenze in campo ambientale, acquisizione e analisi di documenti, permettendo di ricostruire le modalità gestionali dello stabilimento.
Dalle indagini dei carabinieri del Noe sarebbero emerse gravi carenze strutturali negli impianti, con diffusione incontrollata e prolungata nell’ecosistema di inquinanti pericolosi per l’ambiente e per l’uomo al punto che nel territorio di Falconara si sarebbe registrato un significativo inquinamento ambientale causato dalle attività della Raffineria che, pur operando sulla scorta dell’Autorizzazione integrata 1 sito di interesse nazionale di “Falconara Marittima” ne avrebbe violato le prescrizioni e i limiti di emissione con riferimento alle emissioni in atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti, alla gestione dei malfunzionamenti e degli eventi incidentali.
In particolare il reato di “disastro ambientale” è contestato in riferimento alla compromissione del suolo e del sottosuolo, della qualità dell’aria delle zone limitrofe all’impianto petrolchimico falconarese, delle acque superficiali e delle acque sotterranee nelle quali è stata più volte riscontrata la presenza di reflui industriali contenenti idrocarburi.
L’inquinamento e la perdurante dispersione di prodotti nel suolo, sottosuolo, nelle acque sarebbero stati principalmente provocati dallo stato di deterioramento degli impianti e dalle gravi carenze riscontrate nell’ispezione e manutenzione di vari serbatoi, di rilevanti dimensioni, nonché degli impianti di trattamento delle acque di scarico, di falda e fognaria.
La compromissione della qualità dell’aria delle zone limitrofe all’impianto sarebbe stata invece provocata dalle ripetute emissioni in atmosfera di gas derivanti dalla lavorazione degli idrocarburi bruciati nella torcia idrocarburica della Raffineria.
La contestazione degli organi inquirenti è che tali condotte siano sorrette dalla volontà di risparmiare gli ingenti costi per l’ispezione, la manutenzione e l’adeguamento degli impianti in questione e allo stesso tempo di non compromettere l’attività produttiva. Violazioni in materia ambientale sono state contestate anche dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
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