di Alberto Bignami
Insieme alla figlia Eugenia e al marito Fabrizio, Simona Carotti è rimasta per 10 ore dentro casa «con l’acqua che arrivava fino al petto». In quelle condizioni, hanno atteso l’arrivo dei soccorritori, vigili del fuoco e Protezione Civile, affinché li portassero in salvo.
Risiedevano a Senigallia, in via Verdi, proprio a poche centinaia di metri dal fiume Misa, quando l’ondata li ha travolti, abitando al piano terra, e la loro «casa è adesso completamente inagibile».
Tutto è avvenuto in pochi istanti. «Verso mezzanotte – racconta – mia figlia Eugenia ha guardato Facebook e tutti gli avvisi e i post che venivano pubblicati. Tra questi, quello che diceva dell’alluvione che era in corso. Ci siamo messi in allerta ma non abbiamo nemmeno fatto a tempo a preparaci all’evento perché dopo due minuti l’acqua è arrivata alla porta e poco dopo è aumentata. Sono crollati i mobili, la porta si è staccata. Siamo dovuti rimanere sempre in piedi perché il livello dell’acqua entrato, era alto e arrivava al petto. Impossibile metterci seduti». In questa posizione, sono stati fino alle 10 del mattino, quando i soccorritori li hanno recuperati.
«I cellulari, in quei momenti – aggiunge -, ci sono caduti nell’acqua e non siamo riusciti a chiamare i soccorsi. Non sapevamo quindi che ora fosse, se sapessero di noi. Era tutto buio. Ci siamo messi solo ad aspettare che qualcuno si accorgesse di noi. Abbiamo anche provato ad uscire ma non era possibile. Il fango e tutto il resto ci avevano messo in trappola. Una coppia che era in strada, messasi in salvo, ci ha soccorso dicendo ai pompieri che c’eravamo anche noi tre». Momenti da incubo, in cui si è davvero tra la vita e la morte. «l’acqua che saliva, le porte che sbattevano… ma alla fine per fortuna si è fermata». Vicino a Simona, c’è il marito Fabrizio Taffoni: «La paura c’è stata, certamente. Non me l’aspettavo – dice -. In tanti anni non era mai successo che l’acqua arrivasse così alta anche nella nostra zona. Questa volta si è estesa maggiormente».
La famiglia Taffoni, visibilmente spossata per quanto di drammatico ha vissuto, è una di quelle che si è rivolta al centro di accoglienza presso il Seminario Vescovile dove la Caritas e i suoi volontari si preoccupano di dare ristoro e riposo agli sfollati, coloro che non hanno più niente perché letteralmente spazzato via dalla furia del fiume.
Eppure, con tutto quello che hanno passato, queste persone hanno ancora la voglia di sorridere e di raccontare. Racconti che servono anche «a far sentire meno soli, tutti coloro che si trovano nelle nostre condizioni – riprende Simona Carotti -. E’ già tanto che noi stiamo qua. Penso ai morti e ai dispersi. Noi siamo qui e possiamo raccontarlo».
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