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Crisi Pd, Mangialardi:
«Un canale con Conte
poteva essere ripristinato»

POLITICHE - Il capogruppo dem in Regione: «Doveva essere riaperta la porta chiusa troppo frettolosamente in faccia al M5S. Era possibile anche un'alleanza larga con Calenda e Renzi, recuperando alcuni contenuti sociali dell’Agenda Draghi. Ora va ricostruita un’identità capace di sanare la frattura tra il centrosinistra e le fasce popolari». Carancini torna ad attaccare Castelli: «Scappa" dalla Regione e si dimentica le famiglie marchigiane». Intanto Matteo Ricci prova a giocarsela per il dopo Letta: crescono le possibilità di una sua candidatura alla segreteria nazionale

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Matteo Ricci

 

Pd marchigiano in subbuglio dopo essere uscito con le ossa rotte dalle elezioni politiche. Mentre Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci dem, pensa sempre più seriamente a candidarsi per il dopo-Letta alla segreteria nazionale del Pd, il capogruppo in Regione Maurizio Mangialardi non risparmia critiche ai vertici del partito. 

«Non è il momento della caccia all’uomo, della ricerca smodata di un capro espiatorio. Ma la sconfitta subita, nelle Marche come nel resto del Paese, va compresa e analizzata in ogni sua piega, se davvero vogliamo correggere gli errori compiuti e dare un futuro al Partito Democratico, iniziando a costruire da subito non solo un’opposizione dura e integerrima a questa destra, ma soprattutto una vera alternativa a essa – commenta Mangialardi -. Non ci sono dubbi che il naufragio del cosiddetto campo largo abbia agevolato la vittoria della destra. Va dato atto al segretario Enrico Letta di averci provato fino in fondo, anche se forse, in particolar modo dopo lo strappo consumato unilateralmente da Carlo Calenda, un canale di dialogo con Giuseppe Conte avrebbe potuto essere ripristinato. Personalmente, sono convinto che sarebbe stata un’idea saggia e intelligente provare a riaprire la porta chiusa troppo frettolosamente in faccia al Movimento 5 Stelle nel momento della caduta del governo Draghi. Lo dico tenendo in considerazione anche la positiva esperienza del governo giallo-rosso, di cui il Partito Democratico era stato serio protagonista durante la difficilissima fase dell’emergenza pandemica. Una parentesi troppo breve che, a mio avviso, aveva saputo raccogliere giudizi positivi non solo per gli importanti risultati raggiunti, tra cui la sottoscrizione degli storici accordi europei sul Recovery Fund del luglio 2020, ma anche per la capacità di dare un’impronta popolare all’azione dell’esecutivo. Credo che quel percorso avrebbe meritato di essere rilanciato all’interno di un’alleanza politico-programmatica, democratica e progressista, includendo perfino i partiti di Calenda e Renzi grazie al recupero di alcuni contenuti sociali dell’Agenda Draghi. Probabilmente, stante la legge elettorale con cui siamo andati a votare, avremmo oggi raccontato un risultato ben diverso da quello uscito dalle urne.

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Maurizio Mangialardi

Di ciò si dovrà tener conto per capire quale sia il punto di partenza da cui ripartire per sanare la drammatica frattura venutasi a creare negli ultimi dieci anni tra il centrosinistra e ampi settori di fasce popolari che, non da oggi, continuano a riversare il loro voto a destra, come dimostra plasticamente l’ascesa conseguita nello stesso periodo da forze populiste come il Movimento 5 Stelle della prima ora, poi dalla Lega e infine da Fratelli d’Italia. Detto in altri termini, è urgente uscire da quella contrapposizione, che oggi Michele Serra individua efficacemente su “La Repubblica”, tra “la sapienza del Palazzo e l’emotività popolare”. Una contrapposizione che il Partito Democratico ha fatto propria troppo a lungo, perdendo verticalmente consenso in quella parte di società che dovrebbe fisiologicamente cercare e pretendere risposte dalla sinistra di fronte a problemi strettamente attuali come la disoccupazione, il lavoro precario, il progressivo svuotamento dello Stato sociale, l’inflazione che falcidia il potere d’acquisto dei redditi fissi, la pressione fiscale che colpisce principalmente le piccole attività artigiane e commerciali, la devastazione ambientale, la fuga dei giovani all’estero.

Bisogna essere sinceri: ricostruire questo legame spezzato non sarà facile, né, per farlo, sarà possibile ricorrere a scorciatoie. Occorreranno tempo e passione, ma soprattutto idee che sappiano restituire al Partito Democratico un’identità politica chiara. Identità che purtroppo si è smarrita, rispetto al progetto iniziale, ed è stata pagata a caro prezzo sia in termini elettorali che di vitalità sociale. Iniziare a ricostruire, dunque, ma partendo da dove? Intanto quanto di buono questo partito sa già ora esprimere nei territori con i propri sindaci e i propri amministratori locali. Una classe dirigente che sostanzialmente ovunque rappresenta un qualificato patrimonio di competenze e sa interpretare una proposta credibile di buon governo, come fotografano i risultati elettorali delle elezioni amministrative che, proprio qui nelle Marche, hanno restituito al centrosinistra città importanti come Jesi e Fabriano. A tal proposito, mi sembra di ottimo auspicio l’elezione in Parlamento di Augusto Curti, ex sindaco di Force.

Ciò, tuttavia, non può essere sufficiente. Occorre che il Partito Democratico torni a essere presente e a vivere nella società, come lo erano quelle culture politiche laiche e cattoliche che rappresentano le nostre radici. Non si scambi ciò per nostalgia. Nessuno sottovaluta i profondi cambiamenti che hanno mutato non solo le forme e gli strumenti della comunicazione politica, ma anche lo stesso modo di dispiegare l’azione di partiti e movimenti. Ma non si faccia neppure finta di non vedere come questa sorta di modernità ineluttabile abbia reso aridi i rapporti tra la politica e le persone, fino a diventare una vera e propria barriera. Una barriera che va urgentemente rimossa se vogliamo vincere la sfida del rilancio di un partito aperto e plurale che sia di nuovo luogo di incontro, confronto, dialogo e partecipazione, in una parola: comunità. È l’unica via per tornare a parlare al Paese

***

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Romano Carancini

Intanto il consigliere regionale dem Romano Carancini, ex sindaco di Macerata, torna ad attaccare Guido Castelli (FdI), eletto in Senato:  «Scappa dalla Regione e dal ruolo fondamentale di assessore al bilancio e si dimentica delle famiglie marchigiane che in queste settimane vivono con tante preoccupazioni, in alcuni casi il dramma, la necessità di far fronte al pagamento di bollette del gas e dell’energia elettrica quattro volte superiori ai costi ordinari.  Pensionati, famiglie numerose, persone meno abbienti e in genere nuclei familiari con redditi Isee bassi sono stati lasciati soli dalla Regione Marche, privi di una scelta di sostegno finanziario, in occasione dell’assestamento di bilancio – atto molto importante che discuteremo in Consiglio regionale il prossimo giovedì 29 settembre. Con un emendamento di oltre 22 milioni di euro a mia prima firma e sottoscritto dall’intero gruppo del Partito Democratico abbiamo previsto che anche il Governo di questa Regione per i restanti mesi del 2022 si assuma il dovere sociale di testimoniare e distribuire somme alle famiglie con una previsione finanziaria. È passata la comprensibile “sbornia” delle elezioni politiche e il nuovo giorno ci pone di fronte all’emergenza di non vedersi staccare l’energia elettrica ovvero di potersi riscaldare nell’inverno che verrà. Sembrerebbero azioni abituali e scontate, ma oggi non lo sono. Nel nostro impegno politico abbiamo il dovere di stare vicino a chi ha più difficoltà e di farlo subito. Sulle proposte del Partito Democratico ci aspettiamo che all’indifferenza dell’assessore Guido Castelli si sostituisca la sensibilità del presidente Francesco Acquaroli».

(redazione CM)

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