di Maria Paola Cancellieri
Donne vittime di violenza, donne uccise. Per allontanarsi da relazioni tossiche e rischiose «è fondamentale chiedere aiuto, parlare, non sentirsi sole o isolarsi. E’ vero che poi i percorsi da intraprendere possono essere complicati ma in questo modo ci sono probabilità più ampie di evitare epiloghi tragici».
A spiegarlo è Roberta Montenovo, avvocato e presidente dell’associazione ‘Donne e Giustizia’ di Ancona, che gestisce il centro antiviolenza di via Senigallia al Piano. Un appello rivolto a tutte le donne in difficoltà, che assume una forte valenza se si cerca di analizzare il contesto domestico in cui è avvenuto l’omicidio di Ilaria Maiorano. Una vicenda coperta ancora da coni d’ombra, che potrebbe spingere il centro antiviolenza stesso a costituirsi parte civile in un eventuale processo per femminicidio.
La 41enne di Osimo, secondo la procura, sarebbe stata massacrata di botte durante un litigio dal marito marocchino Tarik El Ghaddassi. Lascia due figlie di 5 e 8 anni. Da martedì scorso l’uomo è in stato di fermo in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Nel corso del primo interrogatorio in caserma si è, però, dichiarato estraneo ai fatti sostenendo che si sarebbe trattato di un incidente: la moglie sarebbe caduta dalla scale e avrebbe battuto la testa. Racconterebbero un’altra storia le fratture e le contusioni riscontrate durante l’autopsia sul corpo della donna, sulle braccia e sul capo. Segni di un tentativo disperato di difesa.
Avvocato Montenovo, questo atto violento, dalla dinamica ancora non del tutto definita, potrebbe essere scaturito in un ambito familiare segnato oltre che da rapporti di potere sbilanciati anche da differenze socio-culturali?
«L’ultimo dei problemi interpretativi in questa vicenda è proprio quello dell’integrazione razziale perché l’evidenza dei dati di studio e monitoraggio del fenomeno femminicidio ci dicono che la violenza sulle donne, che può sfociare in casi estremi proprio nella morte della donna, è un’emergenza sociale trasversale alle fasce d’età, all’etnia, al livello di istruzione e alla situazione economica. Nella vicenda di Osimo, al momento ci sono ancora elementi da chiarire. Mi dissocio pertanto da una lettura legata al profilo dell’integrazione. Noi siamo pressocchè convinte che si arriverà ad aggiungere questa donna all’elenco dei feminicidi. Al momento però si può solo riflettere su quello che è accaduto. Le poche notizie sulle indagini che filtrano dai media lasciano intendere che sia in corso una verifica della versione dei fatti fornita da quest’uomo, alla quale i familiari della vittima, per primi, e la procura sembrano non credere. C’e molto da mettere a fuoco: la donna è caduta perché è stata spinta? E’ stata picchiata ed è anche caduta? E’ soltanto caduta oppure è stata solo picchiata?».
Che idea si è fatta delle condizioni di vita di Ilaria?
«Sembra emergere intanto che questa donna si sia trovata a vivere una situazione d’isolamento, forse come conseguenza di un comportamento troppo controllante in ambito familiare. Almeno questo si può dedurre dalle parole del fratello di Ilaria, che nelle interviste rilasciate a giornali e tv fa riferimento a un suo allontanamento dalla famiglia d’origine. Questa morte ci dà soprattutto conferma che il fenomeno della violenza di genere che può culminare in tragedia esiste ed è così vicino a noi, in territori che consideriamo distanti da certe problematiche perché pensiamo di vivere in un luogo tranquillo. Al contrario i dati che il centro antiviolenza di Ancona raccoglie ogni anno, rilevano un numero costante di donne che si rivolgono a noi. Forse sono rari gli episodi in cui si arriva all’apice della violenza però purtroppo questo è sempre un pericolo che si cerca di scongiurare con la messa in protezione, dopo una richiesta di aiuto, della donna. Perchè non si può fare nulla se la donna non è d’accordo».
Chi si rivolge a un centro anti-violenza come vittima di relazioni pericolose è obbligato a formalizzare una denuncia?
«Non è detto. Dopo il colloquio avrà però maggiore consapevolezza di quelli che sono i suoi diritti, di quelle che sono le possibilità di uscire da una situazione che appare senza soluzione. Il nostro ruolo è proprio questo. E’ chiaro che se c’è il rischio dell’incolumità e urgenza devono essere contattate le forze dell’ordine. La denuncia va formalizzata subito per applicare tutte quelle misure che possono salvare la vita delle donne, ad esempio il ricovero nelle strutture protette che avviene però sempre e solo con il consenso della diretta interessata. Si può comunque andare al centro antiviolenza, solo a titolo informativo, telefonando al 1522 , il numero antiviolenza e stalking che mette in contatto con la struttura più vicina alla propria città di residenza. Se si subiscono comportamenti troppo controllanti, troppo costringenti, che limitano e obbligano a scelte non volute, va chiesto aiuto in qualche modo. L’importante è non sentirsi una mosca bianca. Ci si sente diversi ma il realtà il fenomeno è diffuso e, per fortuna, molte donne ne escono nel silenzio della cronaca. Magari con dolore, acciaccate ma vive».
Perchè sottolinea che queste esperienze possono aprire nuove ferite nel quotidiano di una donna?
«Non nascondiamoci dietro a un dito: la denuncia non risolve tutto perché spesso le donne devono dimostrare quello che dicono, magari non vengono credute e sono messe sotto esame su quella che è stata la sua storia, a differenza del maltrattante. Ma questo è l’unico modo per uscirne. Se non ci sono figli è più semplice, basta scegliere di allontanarsi con la separazione. Con la presenza dei figli l’invischiamento è più forte perché magari viene detto a una mamma che le verranno portati via, che arriveranno i Servizi sociali e li allontaneranno. C’è poi la questione economica per quelle donne che non lavorano e non hanno un reddito proprio. Il figlio in sostanza può diventare lo scopo di protezione delle mamme ma anche l’oggetto di ricatto da parte degli uomini per tenere queste donne legate a se stessi»
Che servizi offre un centro antiviolenza?
«Nel centri antiviolenza oltre all’accoglienza gestita da operatrici formate, viene messa a disposizione una consulenza psicologica e legale, anche se la donna è assistita già dal proprio legale di fiducia, oltre ai contatti diretti con i Servizi sociali in caso di presenza di minori».
La coppia di Osimo era già attenzionata dai Servizi sociali, è sfuggito qualcosa?
«I Servizi sociali non entrano nelle dinamiche di coppia a meno che non ci sia stata una richiesta specifica e chiara in questo senso. Quando arrivano, lo fanno prioritariamente a tutela dei bambini. Nel caso di Osimo c’è da domandarsi se il comportamento di questo uomo non abbia avuto qualche avvisaglia precedente e se la donna ne abbia parlato. Quanto alle bambine, noi tutti speriamo che possano essere state preservate da questa storia».
Qualora le indagini confermassero i sospetti della Procura e si arrivasse a giudizio, la sua associazione valuterà la costituzione di parte civile?
«Se si arriverà in aula, ci piacerebbe farlo. Quando ci costituiamo parte civile in questi procedimenti di solito la donna si è già rivolta a noi. Ma è una scelta che in genere facciamo anche se non abbiamo avuto mai contatti con la donna. Ad Osimo, da un anno circa, è stato aperto uno sportello antiviolenza e questa evenienza dalla costituzione di parte civile per il caso di Ilaria la valuteremo molto seriamente. Se poi i suoi familiari vorranno avere un contatto con noi, saremo ben disposte a sostenerli. In questo momento pensiamo, però, soprattutto alle bambine di Ilaria. Se questo scenario, che presenta al momento diversi interrogativi, si dovesse concretizzare nell’ipotesi del femminicidio, le piccole saranno ‘orfane di femminicidio’ e quindi sarebbe opportuno intraprendere progetti di supporto per i bambini che all’improvviso si trovano senza una mamma e senza un papà. Soprattutto per loro credo che la differenza in questa vicenda la farà la velocità delle indagini».
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