di Claudio Maria Maffei*
La riapertura del punto nascita di Pesaro (che raddoppia quello in funzione a poco più di 10 chilometri a Fano) è una scelta grave e non è una vicenda che riguarda solo la sanità di quel territorio. Per capire la gravità di questa scelta bisogna fare un po’ di storia.
Quando la Giunta Ceriscioli ha dovuto gestire nel 2020 la prima gravissima fase della pandemia, lo stabilimento di Pesaro di Marche Nord con i suoi quasi 50 posti letto di terapia intensiva è diventato l’ospedale Covid dell’azienda e tutta l’attività materno-infantile è stata portata a Fano, l’altro ospedale dell’azienda, dove era pure attivo un punto nascita. A Pesaro rimase solo il percorso nascita per le partorienti Covid positive di tutta la regione. Nel 2021 ci sono stati 1069 parti a Fano (dati ministeriali) più 59 a Pesaro. Adesso da lunedì scorso 5 dicembre è stato riaperto il punto nascita di Pesaro e lasciato ovviamente aperto quello di Fano. La riapertura è avvenuta con una inevitabile precarietà organizzativa dati i tempi difficili in cui non si trovano ginecologi e soprattutto non si trovano pediatri, tanto che in alcuni ospedali, come quello di Urbino, per trovarli si deve ricorrere a delle cooperative.
Da una intervista al primario della Ginecologia-Ostetricia di Marche Nord si apprende che la riapertura del punto nascita di Marche Nord comporta in più due medici al mattino, due al pomeriggio, uno di notte con un reperibile. Poi un secondo reperibile che provvede alle emergenze chirurgiche. Tutto questo per cosa? Per arrivare dopo quattro giorni dalla riapertura al punto nascita di Pesaro alla nascita di un maschietto, come riportato dalla stampa locale. Ecco il commento alla vicenda, riportato nello stesso articolo, del primario della doppia struttura Claudio Cicoli: «A me piacerebbe un punto nascita dove nascono 1500 bambini l’anno. Sarebbe, io credo, più bello per tutti: gli operatori, le ostetriche, per gli studenti che vengono qui a specializzarsi». Mi permetto di aggiungere che sarebbe bello anche per le mamme, per i genitori e persino per i neonati se solo capissero (ma forse, chissà, a modo loro capiscono).
Ma perché questa vicenda ha carattere regionale e non locale? Perché la scelta su Pesaro dà una ulteriore spallata alla già traballante rete pediatrica regionale in cui sono ormai diversi gli ospedali, compresi quelli dell’Area Vasta 3, che debbono ricorrere alle cooperative o al reclutamento di specialisti in pensione. In una situazione come questa qualunque specialista impiegato in più da una parte diventa uno specialista in meno da un’altra parte. Ed è grave se tale impiego poteva essere evitato. In questo modo le Marche riusciranno a mantenere gli splendidi risultati della sua rete neonatologica e pediatrica ottenuti fino a due anni fa? Guardate i dati della Figura 1 e della Figura 2. Sono dati del 2020 e sono dell’Istituto Sant’Anna di Pisa che monitora la qualità dell’assistenza in una decina di regioni. Le Marche in quell’anno avevano i migliori dati sia per la mortalità nel primo anno di vita, che per la mortalità neonatale precoce, e quindi dalla nascita al sesto giorno di vita. Un dato che era in linea con gli ottimi dati degli anni precedenti, frutto della rete neonatologica regionale che ha nel Salesi uno straordinario punto di riferimento, ma si avvale della collaborazione di alta qualità dei pediatri neonatologi di tutta la regione. Questi dati si raggiungono con standard organizzativi che non sono quelli che le cooperative possono garantire. Oltretutto con i suoi 350.000 abitanti la provincia di Pesaro e Urbino torna ad avere tre punti nascita contro i due della provincia di Macerata che ne ha pochi di meno (305.000). Questa è la sanità più vicina al cittadino secondo la Giunta Acquaroli: vicinissima solo da qualche parte, vicina anche quando non serve e vicina anche quando per esserlo magari rischia di essere meno sicura. Ma la propaganda col centrodestra vince su tutto, equità e sicurezza compresi.
*Medico e dirigente sanitario in pensione
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