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Autonomia differenziata
a due regioni del Nord,
tentativo di aggirare la Costituzione

IL COMMENTO- Sarebbero Lombardia e Veneto (non c'è più l'Emilia Romagna) a chiedere più poteri, in particolare su scuola e sanità. Settori in cui Centro e Sud rimarrebbero carenti, nonostante l'obbligo di garantire diritti e servizi uguali per tutti (ma è pronto un escamotage per superare l'ostacolo). L’accordo tra Governo e Regioni taglia fuori il Parlamento

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Ugo Bellesi

 

di Ugo Bellesi 

Il provvedimento che concede l’autonomia differenziata ad alcune regioni del Nord viaggia velocemente verso l’approvazione, mentre molti giornali non ne parlano affatto ed altri, purtroppo pochi e inascoltati, sollevano inutilmente il problema. Ed invece è questione che riguarda non solo il sud Italia, ma anche le regioni del centro e in particolare le Marche che, rispetto a Toscana, Lazio, Umbria e Abruzzo, non sono certo all’avanguardia.

La nostra regione infatti è gravata dallo spopolamento dell’entroterra e dalla mancata ripresa, dopo il sisma, dell’economia del vasto territorio montano della provincia di Macerata. Una provincia che è tanto poco considerata dal punto di vista produttivo che non merita neppure di avere un rappresentante in seno alla Giunta della Camera di commercio delle Marche.

parlamentoDa quel che è trapelato sembra che Lombardia e Veneto (fino a qualche mese fa si parlava anche di Emilia-Romagna) chiederebbero l’autonomia, oltre che per altre materie, in particolare per Scuola e Sanità. E proprio in questi due settori l’autonomia non farà altro che aumentare lo squilibrio che c’è tra il Nord e il Sud d’Italia. Al sud nella scuola a tempo pieno vi ha accesso solo un bambino su cinque delle elementari, uno su venti dell’asilo. Nelle primarie riesce ad avere la mensa solo un terzo degli alunni. Nella sanità è ancora peggio con le popolazioni del Centro (e del Sud) che ogni anno spendono miliardi per i “viaggi della salute”, costrette come sono a ricorrere agli ospedali e alle famose cliniche del Nord.

Ma sia per la scuola che per la sanità le Regioni che avranno l’autonomia potranno decidere inquadramenti contrattuali di docenti e collaboratori, retribuzioni, sistemi di reclutamento e valutazione, per cui non avranno difficoltà ad assumere le migliori professionalità sia per la medicina che per l’insegnamento nelle scuole medie come nell’Università assorbendo il meglio del meglio da tutta Italia.

In un protocollo firmato nel 2018 tra Luca Zaia e il Ministero dell’istruzione, in merito ai programmi scolastici del Veneto, si prevede l’insegnamento, nelle aule scolastiche della regione, “della storia dell’emigrazione veneta”. Con l’autonomia differenziata si avrebbe una drastica riduzione delle competenze dei Ministeri con l’esigenza di ridurre anche il personale. Ma c’è di più perché Veneto e Lombardia rivendicano anche la gestione autonoma (differenziata) di fette crescenti delle entrate fiscali generate localmente, oltre alla copertura della “spesa storica” sostenuta dalle stesse regioni per Scuola, Sanità ed altre competenze (come i Trasporti) che richiederanno.

Sulla concessione dell’autonomia differenziata c’è però un ostacolo. Infatti c’è un “obbligo costituzionale” di garantire in tutta Italia i Livelli essenziali (Lep), cioè assicurare a tutti i cittadini delle regioni del Nord, del Centro e del Sud, il godimento di tutti i diritti e servizi. Ma per realizzare questo obiettivo è indispensabile fare degli investimenti.

E che investimenti se si pensa solo ai trasporti, alla sanità e alla scuola. Invece il provvedimento in gestazione per assicurare l’autonomia differenziata alle regioni del Nord prevede un escamotage. Nella parte in cui si accenna a questo problema si spiega che bisogna ”determinare” le prestazioni essenziali da garantire a tutti i sudditi dalla Puglia al Veneto. Ma “determinare” non significa affatto (come vorrebbe un preciso obbligo costituzionale) realizzare le prestazioni essenziali per tutti. Il finanziamento necessario quindi viene rinviato sine die ad una eventuale e futura legge di bilancio.

Ma c’è di più: l’autonomia differenziata sarà avviata, contro il parere di autorevoli costituzionalisti, in pratica a “trattativa privata” tra le Regioni e il Governo. E pertanto non passerà attraverso il Parlamento che quindi verrà a conoscere i particolari solo dai giornali. Infatti per attivare l’autonomia differenziata delle Regioni che lo hanno richiesto è stato deciso che è sufficiente un Dpcm, cioè un semplice decreto del presidente del Consiglio dei Ministri. E questa decisione è stata presa senza tener in alcun conto un appello sottoscritto da 60 costituzionalisti e da tre presidenti emeriti della Consulta con cui si sostiene l’esigenza di garantire il coinvolgimento dell’assemblea.

Su questi problemi fortunatamente è intervenuto più volte il presidente della Repubblica Mattarella. Nel novembre scorso, in occasione dell’assemblea nazionale dell’Associazione nazionale Comuni d’Italia, aveva sottolineato il “diritto dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”. Egli aveva così fatto riferimento ai Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e cioè scuola, trasporti, sanità, ambiente, alimentazione. Altra volta il presidente aveva auspicato che “il servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive”.

Ma ancora più esplicito il presidente Mattarella è stato in occasione del messaggio di fine anno. Il capo dello Stato infatti ha dichiarato: “Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari, tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne – creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza”. E un quotidiano da questa frase ha tratto spunto per il seguente significativo titolo: “I paletti del Quirinale sull’autonomia: il divario Nord-Sud tradisce la Costituzione”.

A questo punto ci si chiede: Sarà accolto da chi di dovere l’appello di Mattarella, che ha prospettato l’immagine di una Italia in cui l’eguaglianza dei diritti e delle opportunità per tutti non è affatto garantita? Oppure l’avranno vinta quelli che non si pongono neppure questo obiettivo che è richiesto dalla Costituzione e cioè il superamento di ogni situazione di disparita? Ai posteri l’ardua sentenza.

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