di Francesca Pasquali
Si allunga ancora la scadenza per il payback per i dispositivi medici. Stavolta, però, solo di due mesi. Il milione e centomila euro destinati dal governo alle Regioni con il decreto Bollette, infatti, non fa che prorogare l’agonia di oltre 1.500 aziende marchigiane. Quelle che, insieme, devono dare alla Regione 136 milioni 514 mila 709 euro. Poco meno della metà dello sforamento del tetto per la spesa sanitaria dal 2015 al 2018. I soldi stanziati dal governo servono per allentare la presa sul privato. Il decreto prevede che, fatte le ripartizioni, per quello che ancora manca, le aziende dovranno contribuire con il 48%. A patto di rinunciare ai ricorsi del frattempo intentati. E non sono pochi. Le aziende avranno tempo fino al 30 giugno per decidere se accettare o no. Il che farebbe slittare la scadenza dei pagamenti di sessanta giorni. «Ci sono alcune ordinanze del Tar del Lazio che interpretano la norma come una sorta di proroga tacita», spiega l’avvocato Jacopo Natali, dello studio Leonardi di Ancona, che sta seguendo diverse aziende alle prese con il payback sanitario. Le imprese, però, non sarebbero molto propense ad accettare il “compromesso”. Almeno, quelle medio-piccole, cioè praticamente tutte le marchigiane. In caso di rifiuto, dopo il 30 giugno, i provvedimenti regionali saranno esecutivi. Tradotto: se non pagheranno, diventeranno morose.
«Il governo sta cercando di rabbonire le imprese e di chiudere i contenziosi, ma è ancora tutto in divenire», dice Natali. Per conto dei suoi clienti, lo studio legale anconetano ha presentato ricorso al Tar del Lazio, «sia contro i decreti dei ministeri della Salute e dello Sviluppo economico, che davano attuazione alla richiesta, sia per motivi aggiunti». «L’unica speranza – fa sapere il legale – è l’abrogazione della norma da parte del Parlamento o la declaratoria di incostituzionalità con contrarietà ai principi dell’Unione Europea, che abbiamo sollevato al Tar del Lazio». Nella migliore delle ipotesi per le aziende, i tempi non saranno brevissimi. Nel frattempo, dovrebbe essere emessa un’istanza cautelare per chiedere di sospendere l’efficacia esecutiva dei provvedimenti regionali.
La situazione si è fatta incandescente dallo scorso settembre, quando il governo Draghi ha dato il via libera al decreto Aiuti bis. All’interno, c’era anche il decreto 17 del 2015, fino ad allora rimasto in stand-by. Prevedeva che, in caso di sforamento del tetto di spesa per la sanità da parte delle Regioni, una parte dell’ammanco sarebbe stato a carico delle aziende fornitrici. Dal 2017, quella parte corrisponde al 50%, la metà, calcolata sul fatturato. A quel punto, le Regioni hanno fatto i conti. Gli anni calcolati vanno dal 2015 al 2018. Nelle Marche, l’ammanco è di 292 milioni 197 mila euro, di cui 136.514.000 toccano alle aziende. Parecchie hanno fatto ricorso. Per tutta risposta, la Regione si è opposta, chiedendone il rigetto. «È una situazione in divenire che lascia le imprese in grande difficoltà. Non hanno accantonamenti e, in diversi casi, hanno fatto ricorso alle banche per proseguire l’attività. Temono un nuovo payback dal 2019 e non sanno se partecipare alle gare d’appalto perché hanno paura di creare ulteriori “debiti”», dice Natali. Che parla di «manovra pericolosa per il Sistema sanitario nazionale, che può portare un notevole abbassamento del livello di assistenza sanitaria, a discapito del cittadino». Intanto, la petizione online “Aboliamo la legge sul payback che farà chiudere gli ospedali e fallire chi li rifornisce“, lanciata dall’anconetano Daniele Ferretti, rivenditore di dispositivi medici, ha superato le 4.800 firme.
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