di Alberto Bignami
«Voglio giustizia. Ho visto mio fratello morirmi davanti, ucciso con l’indifferenza più totale, senza nemmeno capirne il perché. Senza avere il tempo di accorgermi che stava morendo. L’ho visto diventare sempre più pallido, tutto d’un tratto, e non rispondermi più perché era morto. Ucciso».
Xhuliano Bitri, 18 anni, lo abbiamo incontrato all’obitorio di Torrette dove accompagnato dagli amici, tra cui il più caro (Kledian Kasa), è venuto a chiedere informazioni su come poter riportare in Albania il corpo del fratello Klajdi Bitri, assassinato ieri pomeriggio con un colpo di fiocina lungo via Cilea. A ucciderlo il 28enne algerino Fatah Melloul, arrestato poi dai carabinieri quattro ore più tardi, dopo essere stato rintracciato a Falconara dove era andato a pescare una volta commesso l’omicidio.
«Eravamo su due auto – ricorda frastornato dalla commozione Xhuliano -. Io ero con mio fratello e un’altra persona mentre nell’altra c’era un nostro amico italiano con la moglie e i due bimbi piccoli. Insieme, dovevamo andare al mare a Sirolo. Noi eravamo un po’ dietro e, quando siamo arrivati, abbiamo visto Danilo (l’amico italiano ndr) che veniva picchiato dall’algerino in mezzo alla strada. Mio fratello aveva molto rispetto per Danilo perché è grazie al fatto che lo prese a lavorare da lui, con un tirocinio, in cucina nel suo ristorante, che riuscì a iniziare a mettere i soldi da parte per far venire in Italia anche me e darmi modo di iniziare una nuova vita. I nostri genitori sono ancora in Albania. Non riusciranno nemmeno a venire in Italia per vedere il loro figlio. Ora, sono io che mi sento in dovere per sistemare tutte le pratiche necessarie a riportarlo a casa».
L’auto a bordo della quale si trovano Klajdi, Xhuliano e il cugino del ristoratore si ferma nel vedere quella lite. «Mio fratello è subito sceso per dividerli – riprende -. Avvicinandosi, si è rivolto all’assassino dicendogli: “Fermati, ma che fai? Non vedi che nell’auto ci sono una donna e due bimbi piccoli?”. Sono sceso anche io. Mio fratello si è rivolto ancora a lui dicendogli: “Basta così, basta. Vai via”». La situazione sembrava essersi risolta. «Con tutta la calma di questo mondo – continua -, l’algerino si è allontanato camminando. Sembrava tranquillo, sembrava che tutto si fosse risolto. Poi – spiega – ha invece aperto la portiera posteriore dell’auto dove stava la fidanzata, e ha tirato fuori la fiocina. Non appena l’ho vista ho urlato a mio fratello: “Scappa, scappa. Nasconditi. Ha un’arma”. Io mi sono accucciato dietro l’auto e mio fratello ci ha provato, ma senza riuscirci. Da una distanza di due o tre metri, l’algerino gli ha sparato il colpo. E gli ha sparato intenzionalmente. Poi, gli ha tirato via la freccia che si era conficcata nel petto di mio fratello, ed è andato via; raggiungendo a piedi l’auto con la fidanzata alla guida e, insieme, si sono allontanati».
Xhuliano capisce che è successo qualcosa a Kladjdi; che è stato colpito «ma non capivo riprende – perché non c’era sangue, non c’erano segni. Non mi rendevo conto del perché mio fratello fosse immobile. Ho pensato “Ma che sta succedendo?” e ho visto mio fratello che pian piano diventava sempre più bianco, pallido. Nel frattempo avevo inseguito l’auto in fuga, prendendo la targa dopo che questa aveva fatto il giro della rotonda per poi fermarsi per farlo salire al volo. Il resto – conclude – lo sapete tutti».
Il rapporto tra Xhuliano e Kladjdi era fortissimo. «Non era solo mio fratello. Mi faceva anche da padre. Ha sempre e solo lavorato per farmi raggiungere l’Italia, trovare una vita più dignitosa. Anche quando guadagnava 500 euro al mese, appena arrivato in Italia, ecco che 300 li metteva da parte per me: per i miei documenti in modo tale che potessi venire qui e abitare con lui, in un appartamento vicino la stazione ad Ancona. Si sacrificava al punto da farmi fare anche sport, giocare in una squadra di calcio. Non mi ha mai fatto mancare nulla».
Kladjdi lavorava al porto, nei cantieri di via Mattei dove «Si occupava della pavimentazione delle imbarcazioni di lusso».
Tanti gli amici e colleghi che sono andati all’obitorio, per raggiungere il fratello e stringerglisi attorno dimostrando il proprio affetto. «Un ragazzo – dicono – che non era in grado di litigare con nessuno. Pensava a lavorare e alla famiglia: il fratello qui con lui, e i genitori in Albania. Sicuramente – aggiungono – ci organizzeremo per fare una manifestazione e chiedere tutti insieme che venga fatta giustizia per Kladjdi».
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