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Capi d’abbigliamento in poliestere
venduti come cachemire e “Made in Italy”:
sequestro da 1,1 milione di euro

FABRIANO - Le indagini dei militari della Tenenza della Guardia di Finanza sono iniziate a seguito della denuncia di un negoziante i cui clienti erano tornati lamentandosi degli acquisti. L'uomo si è rivolto alle fiamme gialle che hanno individuato una società di Assisi, operante nella filiera dell’importazione, produzione e commercializzazione del vestiario

Le indagini sono state svolte dai militari della Tenenza della Guardia di Finanza di Fabriano

Un’indagine partita da Fabriano, che ha visto i finanzieri del Comando Provinciale di Ancona dare esecuzione a un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, per un valore di oltre 1.100.000 euro.
Tutto è iniziato quando un commerciante fabrianese, dopo aver venduto alcuni capi di abbigliamento acquistati da una ditta, ha visto gran parte della clientela tornare nel negozio per lamentarsi di quanto comprato: poliestere venduto per cachemire.
Il titolare del negozio, anche lui truffato, si è quindi rivolto alla Guardia di Finanza denunciando l’accaduto e facendo iniziare le indagini nei confronti di una società di Assisi, operante nella filiera dell’importazione, produzione e commercializzazione di capi di abbigliamento.
I militari delle fiamme gialle hanno successivamente scoperto che il rappresentante legale di questa società, ora indagato per frode nell’esercizio del commercio, avrebbe avviato alla commercializzazione in tutta Italia, circa 59mila capi di abbigliamento, gran parte dei quali provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, apponendovi etichette attestanti una falsa indicazione dei tessuti impiegati di qualità appunto superiore rispetto a quelli reali, ottenendo così un illecito profitto, oggetto del provvedimento cautelare eseguito.

Le indagini portate avanti della Tenenza di Fabriano e coordinate dalla procura dorica, attraverso l’esame della documentazione acquisita nel corso delle perquisizioni locali, hanno permesso di ricostruire i flussi di ingenti acquisti di capi di abbigliamento provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, effettuate dall’imprenditore. Una volta giunta la merce in Italia, è stato constatato che le etichette attestanti l’effettiva composizione dei tessuti regolarmente apposte sul prodotto importato, venivano sostituite con altre indicanti una composizione dei tessuti di maggior pregio. Circa 22mila capi di abbigliamento riportavano, inoltre, la falsa attestazione “Made in Italy”.
Nel corso delle indagini è stata accertata la responsabilità anche di un’altra società perugina, che partecipava attivamente all’attività di produzione e commercializzazione, il cui legale rappresentante è stato indagato, in concorso, per gli stessi reati.
In fase di esecuzione del provvedimento sono stati sottoposti a sequestro preventivo quattro conti correnti bancari nonché quote di fondi d’investimento italiani ed esteri, un capannone industriale nel comune di Assisi e tre auto di proprietà della società.

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