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Pd, lo sgarbo istituzionale poi la vendetta:
dallo scontro allo stallo il passo è breve.
Ora la palla passa al gruppo consiliare

POLITICA - Dopo la dura relazione della segretaria Bomprezzi approvata dal direttivo, nessun passo indietro di Mangialardi. Riunione infuocata del gruppo dem a margine del Consiglio di ieri: si è deciso di prendere tempo. Senza le dimissioni volontarie, solo la sfiducia dei consiglieri potrà togliere il ruolo al capogruppo. Il rischio Gattopardo è concreto

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Maurizio Mangialardi e Chantal Bomprezzi

 

 

di Giovanni De Franceschi

Difficile capire al momento quale sarà il punto di caduta, ma sembra aver avuto l’effetto di una pallata di cannone tra i dem il documento approvato dalla direzione regionale del Pd. Non è un caso se ieri a palazzo Leopardi dopo il Consiglio ci sia stata una riunione che dire infuocata è poco tra i consiglieri regionali. La relazione della segreteria Chantal Bomprezzi con la quale si sono chiaramente chieste le dimissioni di Maurizio Mangialardi da capogruppo in Regione e messo al muro quasi tutto il gruppo consiliare è stata tanto irrituale, probabilmente è la prima volta che una direzione chiede al capogruppo di dimettersi, quando dura e netta. Comunque la si pensi, il succo del pensiero di Bomprezzi è sembrato essere questo: qualcosa nel rapporto tra il partito, cioè la segreteria principalmente, e gran parte del gruppo consiliare non va e va cambiato subito prima che sia troppo tardi. Cioè prima che si entri nel vivo della partita delle Regionali 2025. E così a farsi da parte per il bene di tutti deve essere il capogruppo. Il punto è vedere se questa mossa della segreteria porterà i risultati sperati o meno.

E’ chiaro che il casus belli, dal lato della segreteria, è stata la mossa della maggioranza dei consiglieri regionali (6 su 8 esclusi Romano Carancini e Antonio Mastrovincenzo) di presentare insieme una sorta di cahiers de doleance sullo stato del Pd Marche e di documento programmatico politico in vista delle prossime elezioni (terzo mandato, scelta del candidato per le Regionali) a Elly Schlein. E’ evidente come una mossa del genere non potesse passare in cavalleria, soprattutto visto che quel documento poi è stato anche reso pubblico. Secondo una corrente di pensiero, probabilmente maggioritaria tra i dem, innanzitutto il capogruppo avrebbe dovuto coinvolgere tutto il gruppo consiliare. Ma soprattutto quei temi si sarebbero dovuti discutere prima in “casa”.

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Il gruppo consiliare Pd

Un grave sgarbo istituzionale, diventato gravissimo dopo la pubblicazione del documento. Insomma, la scelta di andare a parlare direttamente al Nazzareno (e la segreteria l’ha ribadito nella sua relazione pur usando altre parole: «Con un tempismo sorprendente, infatti, abbiamo dovuto assistere all’ennesimo fuoco amico. Credo che certi atteggiamenti non siano più tollerabili») è stata vista come una specie di pugnalata alle spalle di Bomprezzi e di tutta la corrente che l’ha appoggiata all’ultimo congresso. Già, perché molto probabilmente in questa partita, infatti, entrano in gioco anche le scorie mai veramente smaltite di quel congresso che portò, forse a sorpresa, alla vittoria di Bomprezzi, mal digerita dalla maggioranza dei big del partito. Scorie che hanno continuano ad inquinare i rapporti in casa dem («Troppo spesso – ha scritto Bomprezzi nella sua relazione – ci troviamo a dover subire attacchi strumentali, a leggere di operazioni fatte all’ombra dei propri colleghi»). D’altronde non può essere un caso, in questo senso, che già l’anno scorso (anche allora era di marzo) Mangialardi dovette presentare le dimissioni da capogruppo, poi respinte dal gruppo stesso con sei consiglieri che votarono la fiducia e due no (facile intuire i nomi).  Senza considerare che le scorie sicuramente potrebbero aver preso vigore proprio in vista delle prossime scadenze elettorali: vedi terzo mandato e scelta del candidato governatore.

D’altra parte, bastava guardare le facce di ieri in Consiglio regionale, per capire che Mangialardi ha accusato il colpo e anche molto. E’ apparso sfiduciato e scoraggiato. Il suo silenzio (contattato da Cronache Maceratesi ha preferito non commentare) dice molto. C’è chi pensa che in fondo se l’è cercata e chi invece sostiene che sia stato messo di fronte al plotone di esecuzione della direzione del partito senza una vera colpa. D’altronde, si fa notare da quest’ultima sponda, andare a parlare con la segreteria nazionale del partito rientra nelle prerogative di un consigliere regionale e di un capogruppo in particolare. Che poi il tutto sia finito “in piazza” non può certo essere imputato a lui. Ad ogni modo, resta una questione tecnica che rende difficile capire quale sarà il punto di caduta. La sfiducia della direzione, di fatto, non ha nessun vincolo. Dovrà essere il gruppo consiliare a sfiduciare Mangialardi se non sarà lui a fare un passo indietro autonomamente. Il che non è così scontato. Di contro, lasciare ognuno al proprio posto davanti a una presa posizione del genere della direzione che ha avuto l’avallo (seppur con l’astensione) anche della minoranza dem sarebbe come gettare benzina sul fuoco con il rischio di far esplodere, o meglio implodere, tutto. Al momento quindi si è preso tempo, almeno fino a dopo Pasqua. Il rischio gattopardesco di cambiare affinché nulla cambi però è più che reale.

 

Pd Marche alla resa dei conti, passa la linea dura di Bomprezzi «Mangialardi faccia un passo indietro»

 

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