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Aborto a ostacoli, Marche caso emblematico:
«A Civitanova, Senigallia e Fano
obiezione di coscienza tra l’80% e il 90%»

IL REPORT Medici del Mondo evidenzia le politiche antiabortiste promosse a livello locale e nazionale e la violenza psicologica sistemica che ancora oggi ostacolano il diritto delle donne all'interruzione di gravidanza. «Le testimonianze raccolte da diverse associazioni in regione parlano di situazioni al limite: atteggiamenti ostili e linguaggio offensivo del personale sanitario (“Potevi pensarci prima”, “Queste ragazzine sempre con le gambe aperte”), donne costrette ad ascoltare il “battito fetale” e a firmare, contro la loro volontà, per la sua sepoltura»

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Il report di Medici del Mondo

Le Marche caso emblematico per le barriere di accesso all’aborto. E’ quanto emerge dalla campagna “The Unheard Voice”, realizzata da Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute che torna ad accendere i riflettori sul tema dell’aborto per mettere in luce la diffusa violenza psicologica cui sono sottoposte molte delle 63mila donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza. Lo fa facendo ascoltare per la prima volta cosa realmente accade nelle strutture sanitarie, in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il “battito fetale” o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto. E pubblica il nuovo report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”, che, tra iniziative promosse a livello nazionale e politiche anti-scelta in diverse Regioni, denuncia come la politica stia istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza, con una forte ripercussione sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire.

In questo contesto cita il caso delle Marche, più volte teatro di proteste da parte di associazioni e forze politiche: «Obiezione di coscienza a livello regionale oltre il 70%, consultori depotenziati o che chiudono per mancanza di personale, necessità di spostarsi per abortire e pochissima possibilità di accedere all’Ivg con metodo farmacologico: se esiste un “modello Marche”, va tutto nella direzione di porre barriere nell’accesso all’Ivg e alla salute sessuale e riproduttiva. Nel 2023, i 66 consultori della regione (erano 71 nel 2016) sono aperti in media 11 ore a settimana, il 38% solo uno o due giorni a settimana. Solo 26 rilasciano la certificazione per l’Ivg (nonostante nelle Marche la certificazione venga rilasciata dal consultorio nel 65,4% dei casi contro il 42,8% nazionale), solo 24 hanno tutte e quattro le figure previste per legge (personale specializzato in ginecologia, ostetricia, assistenza sociale e psicologia). Il territorio, poi, è molto frammentato: in sette consultori l’obiezione di coscienza è al 100% tra personale specializzato in ginecologia e ostetricia, e in 18 il tasso va dal 40 al 67%. Solo in nove consultori non ci sono obiettori. Ci sono poi i consultori privati, di cui 10 della Federazione Marche dei Consultori cattolici, che svolgono quasi esclusivamente attività di tipo sociale. Solo negli ospedali di Ancona e Urbino l’obiezione di coscienza è sotto al 30%, a Senigallia, Civitanova e Fano è tra l’80% e il 90%, mentre negli ospedali di Fermo e Jesi è del 100%: di fatto, un’obiezione di struttura vietata dalla legge 194».

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Lo striscione esposto dalle associazioni in consiglio regionale a giugno 2024

Non stupisce, quindi, secondo il report che l’11,3% delle IVG effettuate dalle residenti nelle Marche avvenga in altra regione (il 15,9% a Pesaro e il 23,6% ad Ascoli, rispetto all’8% a livello nazionale) e il 18% fuori dalla provincia di residenza (contro il 12% della media nazionale). «A questo si aggiungono le scelte politiche, come quelle riguardanti l’Ivg farmacologica: nelle Marche si può accedere alla Ru486, considerata ancora “procedura sperimentale” (in Europa è usata da oltre 30 anni, anche in telemedicina), solo entro la settima settimana e solo in alcuni ospedali. Nel 2022 le Ivg farmacologiche nelle Marche sono state il 20,7% di tutte le procedure effettuate (contro il 47,3% di media nazionale). A Jesi, Fabriano, Civitanova Marche e Pesaro il servizio non viene offerto. Nel frattempo, dopo aver interrotto nel 2022 la convenzione che l’Aied – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica di Ascoli Piceno aveva avviato nel 1981 con l’ospedale locale per l’attuazione della legge 194, la Regione finanzia associazioni confessionali».

Ma non si tratta “solo” degli ostacoli fin qui descritti. «Le testimonianze raccolte da diverse associazioni nelle Marche e nel resto d’Italia, riportate nel report di Medici del Mondo, parlano di situazioni al limite: atteggiamenti ostili e linguaggio offensivo del personale sanitario (“Potevi pensarci prima”, “Queste ragazzine sempre con le gambe aperte”), donne costrette ad ascoltare il “battito fetale” e a firmare, contro la loro volontà, per la sua sepoltura. Una vera e propria violenza psicologica (e fisica, se si considerano gli antidolorifici volutamente negati dopo la procedura), sistemica e costantemente aggravata dai ripetuti tentativi dei gruppi antiabortisti di umanizzare l’embrione e criminalizzare la persona che ha scelto di interrompere la gravidanza, cercando di creare sensi di colpa. Il risultato? Ai numerosi ostacoli che chi vuole abortire deve affrontare, si somma un del tutto inutile trauma emotivo. Secondo l’Oms una normativa restrittiva sull’aborto può causare angoscia e stigmatizzazione e rischia di costituire una violazione dei diritti umani, oltre a imporre oneri finanziari. Sulla stessa linea lo studio Turnaway dell’Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco, che dimostra che le donne che incontrano barriere (di qualsiasi tipo), che ritardino o rendano più difficoltoso l’accesso alla IVG, presentano maggiormente stress, ansia e depressione. Al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico: l’emozione più comunemente provata è il sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l’interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta».

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La raccolta firme in piazza Conchiglia

«Con “The Unheard Voice” vogliamo accendere i riflettori su una violenza psicologica, sistematica, pubblica e di stato che non è più accettabile. Il report evidenzia quanto ancora siamo lontani dalle raccomandazioni dell’OMS e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza. E ciò a causa di una chiara volontà politica che può avere conseguenze sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire» spiega Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia.

Nelle prossime settimane “The Unheard Voice” correrà online e sui social per fare informazione e sensibilizzare su questo tema attualissimo, mentre continuerà a supportare, in sinergia con altre associazioni, la petizione europea “My voice, my choice” per un aborto sicuro e accessibile in Europa, il23 settembre Medici del Mondo presenterà ufficialmente alla Camera il nuovo report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”. Perché la voce delle donne che vogliono abortire sia davvero ascoltata.

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CHI E’ MEDICI DEL MONDO – è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.

 

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