di Luca Patrassi (foto di Fabio Falcioni)
C’è chi appende il camice al chiodo quando arriva la pensione non potendo, per legge, continuare ad operare nel pubblico se quella è stata l’amministrazione di riferimento, e chi continua ad indossare quel camice ed approda nella sanità privata mantenendo il livello di eccellenza che gli deriva dalle competenze, dalle conoscenze maturate, dal saper fare, dalle migliaia di cuori non infranti. Lui si chiama Gian Piero Perna, è il nome di riferimento della Cardiologia nelle Marche se non altro per aver guidato il Dipartimento dell’ospedale di Torrette per lunghissimi anni e fino “all’altro ieri”. Ora è il riferimento della Cardiologia nel centro “Medica” appena sorto a Piediripa di Macerata: già le indicazioni di base dicono di un medico aperto alle contaminazioni, origine campana, laurea e avvio della professione nel tempio della sanità italiana (il Gemelli di Roma), approdo nell’ospedale di padre Pio (“Casa Sollievo della Sofferenza”) a San Giovanni Rotondo, infine Ancona, prima Lancisi ed infine appunto Torrette.
L’incontro con il dottor Perna è appunto negli studi di “Medica” a Piediripa. Si parte da Torrette…
«Ci sono stato per 25 anni, sono il primario che è rimasto più a lungo nella stessa struttura, dal ’99 a pochi giorni fa».
La molla che la spinge a continuare?
«La prima è: chi ha passione per il proprio lavoro continua a lavorare, la seconda è la curiosità, la volontà di esercitare in un altro ambito, non più l’ambito “protetto” dell’ospedale ma l’ambito della diagnostica cardiovascolare sul territorio. In Cardiologia il 90% lo fa la diagnosi: si fa una buona terapia se c’è una corretta diagnosi e un corretto inquadramento del paziente. Per 45 anni ho lavorato sul paziente che arriva perché ha una patologia acuta o in fase avanzata, vale a dire il paziente che spesso deve essere operato in urgenza , sottoposto a una sostituzione valvolare aortica o mitralica, o trattato con una angioplastica; oppure sul paziente che ha uno scompenso cardiaco avanzato e poche speranze di sopravvivenza e bisogna cercare di rispondere a quelle poche speranze».
La soluzione?
«La prevenzione per il paziente che arriva in ospedale in codice rosso è la prevenzione a monte. Bisognerebbe individuare i pazienti che non sanno di essere già malati. Sono tanti. Tutti i pazienti che hanno il diabete da più di dieci anni, che sono maschi e che hanno almeno una condizione aggiuntiva di rischio (pressione alta, colesterolo alto, fumo) sono dei cardiopatici che ancora non sanno di esserlo. Farli arrivare in ospedale al momento in cui hanno l’infarto è il fallimento della medicina. Bisognerebbe intercettarli prima e trattarli adeguatamente prima».
Quindi? Screening?
«Screening mirati, non su tutti: i pazienti a rischio più elevato sono quelli che vanno trattati precocemente. Altro concetto: l’età media della popolazione nel mondo è aumentata. Perché i pazienti vivono più a lungo? Sono migliorate le terapie farmacologiche per la prevenzione secondaria : farmaci come le statine, per esempio, hanno rivoluzionato la terapia cardiologica e sono in grado di far sopravvivere i pazienti molto più a lungo, lo stesso accade con i farmaci per il controllo della pressionearteriosa. Dunque screening per i pazienti a rischio che sono i diabetici, gli obesi, quelli che hanno più fattori di rischio e una familiarità per malattie cardiovascolari».
Torniamo ai soggetti interessati
«Ci sono le popolazioni speciali che prima non conoscevamo. La prima popolazione è quella formata dai pazienti che hanno avuto una neoplasia e sono sopravvissuti a lungo magari dopo aver fatto radioterapia o chemioterapia: questi pazienti hanno una probabilità elevatissima di sviluppare una malattia coronarica o uno scompenso cardiaco, rischiano di morire non per il cancro, ma per malattie cardiovascolari magari legate alle terapie oncologiche che hanno fatto. Questi pazienti oncologici sopravvissuti vanno screenati per capire se hanno sviluppato una malattia cardiologica. L’altra popolazione speciale è quella costituita da chi ha malattie infiammatorie, come le autoimmuni, sono pazienti che sviluppano malattie cardiologiche gravissime e che devono essere intercettati per terapie di prevenzione. La terza popolazione speciale è formata da anziani e sportivi».
Sul fronte degli atleti c’è grande attenzione anche mediatica…
«Gli sportivi sono per definizione persone sane. Diciamo di fare sport per prevenire le malattie vascolari ed è vero, ma i soggetti che fanno sport e che non sanno di avere una malattia possono andare incontro a morte improvvisa. L’Italia in questo settore è all’avanguardia nel mondo, siamo tra le poche nazioni in cui lo screening è obbligatorio. E’ vero che ogni tanto qualcuno non viene intercettato, ma si tratta di una minoranza molto esigua mentre sono moltissimi quelli che sono stati correttamente valutati precocemente e tanti sono stati salvati. Per altri la presenza in campo del defibrillatore è stata risolutiva. Un caso che ho appena visto con ecocardiografafia è quello di un giovane che ha una miocardite ipertrofica che non sapeva di avere, è un caso che si è evidenziato grazie al fatto che ha fatto uno screening cardiologico sportivo, ha visto un elettrocardiogrammaalterato, ha trovato un medico intelligente che ha fatto fare un’ecocardiogramma e una risonanza che hanno dato questo risultato e individuato un profilo di rischio incompatibile con la attività sportiva. Questa è una nuova popolazione».
Grande il ruolo della tecnologia, una volta si diceva che il medico ha “l’occhio clinico”. Per il formarsi di un giovane la possibilità di avere a disposizione tutte queste apparecchiature può essere un limite rispetto all’esperienza maturata sui casi, sull’analisi clinica?
«Questa domanda mi fornisce anche l’occasione per spiegare perché rimango e voglio andare avanti. La mia generazione era fatta di clinici che non avevano a disposizione la attuale tecnologia , che è oggi disponibile e spesso affiancata dalla Intelligenza Artificiale. Il rischio grosso della tecnologiaaffiancata dall’Intelligenza Artificiale è quello di dimenticare il ruolo fondamentale della clinica. Occorre interpretare clinicamente quello che la tecnologia ci offre, e ricordare che si curano i pazienti, non le malattie. L’intelligenza artificiale è un indubbio aiuto, ti semplifica la vita, in pochi minuti ti fa misure che prima richiedevano ore ma non può sostituire l’impatto clinico nei confronti del paziente».
Ogni paziente è unico, si dice.
«Ogni paziente è unico, diverso dagli altri, e può avere un impatto diverso rispetto a un altro paziente con i vari farmaci che le Linee-Guida raccomandano. Non posso usare la stessa taglia di un abito per chi è grasso, per chi è magro, per chi è medio, è alto, o è basso. Anche le taglie hanno i loro limiti. La terapia deve essere “sartoriale” e non si può imporre a tutti la stessa identica terapia. La clinica non può essere abbandonata. Qui in Medica a Piediripa sono disponibili Tac e Risonanze di ultima generazione e soprattutto la Tac a 128 strati che può consentire lo studio delle coronarie, della aorta, delle masse cardiache e la risonanza magnetica nucleare (rmn), in particolare la 3Tesla, ideale per lo studio di dettaglio del cuore. La disponibilità di integrare tecnici di Radiologia , medici radiologi e cardiologi consente di dare risposte “integrate” e di fornire al paziente non solo la descrizione morfo-funzionale, ma anche la diagnosi definitiva, la stratificazione prognostica e la terapia , in un solo tempo e in un solo accesso».
E’ utile avere tac e risonanze disponibili per abbattere le liste di attesa?
«Il problema delle liste di attesa nasce proprio sulle risonanze e sulle tac: ma non è tanto un problema di medici , quanto di numero di apparecchiature e soprattutto di tecnici. In ospedale utilizzare queste attrezzature per rispondere a richieste esterne spesso inappropriate genera liste di attesa per gli interni inaccettabili. L’ unica rete che servirebbe realmente realizzare è la rete della diagnostica per immagini , inglobando in questo concetto non solo gli ospedali ma tutte le strutture diagnostiche che rispondono a criteri di elevata qualità».
Parole guida, stili di vita per chi passeggia tranquillamente al di fuori degli ospedali e degli screening mirati?
«La prevenzione delle malattie cardiovascolari è fatta di dieta appropriata e di attività fisica moderata e costante che significa camminare per cinque chilometri tutti i giorni: queste due cose sono fondamentali per tutti. Poco sale, limitare l’uso degli zuccheri e dei grassi che non devono sparire perché sono importanti, molto uso di pesce, largo uso di verdura e di frutta. Questo è per la prevenzione di popolazione, va bene su tutti. La prevenzione singola si fa individuando le situazioni di alto rischio che sono legate a diabete, familiarità cardiovascolare, ipercolesterolemia, pressione alta, fumo di sigaretta. Questi sono i fattori di rischio più importanti perchè sono modificabili, gli altri fattori di rischio sono il sesso maschile, la familiarità e l’età che non possono evidentemente essere modificati. Servono solo per capire su chi concentrare la attenzione preventiva».
La passione, che si ascolta e si trasmette anche dalle sue parole, resta al centro dell’azione dell’ex primario Perna, da Torrette all’attuale sede nel centro “Medica” di Piediripa. Che realtà ha trovato?
«Ho trovato una notevole voglia di fare e tecnologie (echo, rmn, tac) di primissimo ordine. Le sale diagnostiche e di visita sono strutturate in maniera razionale, dal punto di vista cardiologico oltre alla diagnostica radiologica sono disponibili ecografi di altissima fascia, test ergometrico con treadmill, holter ecgper registrazioni di 24 e 48 e anche di 7 giorni nei casi in cui indicato. Credo che – con i colleghi che mi affiancano – potremo dare un elevato ed importante contributo alle esigenze di salute dei marchigiani e delle regioni limitrofe».
(Medica in collaborazione con Michele Tenenti, consulente finanziario di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking (mtenenti@fideuram.it). Per informazioni consultare il sito www.medicamarche.it e i canali Facebook, Instagram e YouTube).
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