Le Marche si inseriscono nel solco delle «regioni rosse», come Toscana, Lazio ed Emilia Romagna, che hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro il Decreto sicurezza – provvedimento bandiera del ministro dell’Interno Matteo Salvini convertito in legge un mese fa -, che come primo effetto ha avuto la chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, in provincia di Roma, con conseguente redistribuzione in altri Comuni dei migranti lì presenti.
Ad annunciare l’intenzione di fare istanza alla Consulta era stato lo scorso 8 gennaio il governatore Luca Ceriscioli – sollecitato anche da una mozione firmata dai consiglieri regionali di maggioranza -, ed oggi ha confermato in maniera ufficiale il ricorso per incostituzionalità contro l’articolato
«Per fortuna c’è una Carta che ancora ci ricorda in maniera chiara i principi attraverso i quali si trattano le persone nel nostro paese – ha affermato Ceriscioli –. Noi riteniamo che il decreto Sicurezza violi numerosi punti della Carta Costituzionale quindi abbiamo fatto ricorso, come anche altre Regioni. Lo abbiamo fatto in maniera corretta: prima attraverso un approfondimento tecnico per capire se i dubbi che avevamo avevano una corrispondenza sotto il profilo giuridico, e poi approvando in Giunta il ricorso. Il governatore ricorda anche che «oggi è la giornata in cui l’Anci incontra il Governo proprio sul decreto Sicurezza, quindi un momento in cui si richiama alla necessità di collaborazione tra diversi livelli istituzionali. Spero che la situazione venga superata cambiando atteggiamento nei confronti del territorio. Quasi un paradosso che il ministro che fa riferimento alla Lega, che un tempo aveva nel rapporto con le autonomie un valore privilegiato, oggi rappresenti spesso il peggiore centralismo». La stoccata contro il vicepremier Salvini fa riferimento anche alla chiusura del Cara di Castelnuovo, con redistribuzione di migranti in molti Comuni italiani (30 trasferiti nelle Marche) senza previa consultazione con i sindaci: «Un’operazione che poteva essere gestita coinvolgendo i primi cittadini e non con comportamenti dirigisti guardando i territori dall’alto in basso – colpisce duro Ceriscioli –. È l’effetto della chiusura del secondo centro d’accoglienza più importante del nostro paese. Parliamo comunque di numeri molto piccoli e ben gestibili dalle strutture locali, quindi, immagino, senza nessun impatto sotto il profilo della gestione delle persone». I 30 migranti sono stati collocati nelle strutture presenti nelle province di Ancona (11), Pesaro (8), Fermo (3), Ascoli (3) e Macerata (5).
Chiude il centro accoglienza: 30 migranti nelle Marche, undici trasferiti ad Ancona
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