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Medici obiettori,
nelle Marche a rischio
l’interruzione di gravidanza

SANITA' - In regione aumentano ginecologi, anestesisti ed infermieri antiabortisti. Difficoltà a garantire il rispetto della legge 194 nelle strutture pubbliche, ci sono casi di mobilità passiva: donne costrette a ricoveri fuori regione. Possibile l'assunzione obbligatoria di personale non obiettore? Barbaresi (Cgil): "Sì, è necessario per tutelare la salute delle donne"

L’ospedale di Senigallia

 

di Agnese Carnevali

Medici obiettori, lo sono oltre il 70% dei ginecologi delle Marche, raggiungendo la totalità nella provincia di Fermo. Mentre divampa la polemica per la decisione della Regione Lazio di indire un concorso pubblico riservato a medici disponibili ad applicare la legge 194, anche le Marche fanno i conti con una costante crescita dei dottori antiabortisti. Emerge così la difficoltà per le strutture pubbliche a svolgere la prestazione, rendendo più complessa la possibilità per le donne di rivolgersi ai presidi ospedalieri della regione per l’interruzione della gravidanza. I più recenti dati forniti dal ministero della Salute, che fanno riferimento al 2014, fotografano una regione in cui cresce il numero del personale sanitario, medico e non, obiettore di coscienza rispetto all’aborto. I ginecologi obiettori sono 101 rispetto ai 99 del 2013 e agli 81 del 2007, 112 gli anestesisti e 1.126 le unità del personale non medico. In termini percentuali si parla, rispettivamente, del 70,1% sul totale dei ginecologi marchigiani, del 48,9% degli anestesisti e del 42,9% degli infermieri.

I numeri di Ancona. Secondo l’analisi più recente elaborata dalla Cgil sulla base dei dati del ministero della Salute, ecco la situazione ospedale per ospedale, aggiornata al 2013. Al materno infantile Salesi, i medici obiettori sono 15, di cui 9 assegnati a ginecologia, i non obiettori sono 25 di cui 13 assegnati a ginecologia, gli anestesisti sono 6 gli obiettori, 12 quelli non obiettori. A Senigallia il servizio si regge grazie ad un solo medico obiettore assegnato a ginecologia. A Jesi non ci sono medici non obiettori assegnati a ginecologia, a fronte degli 11 medici obiettori, a Fabriano i medici non obiettori assegnati a ginecologia sono 3, in minoranza rispetto ai 5 obiettori di coscienza. A Osimo l’interruzione di gravidanza non viene effettuata, vengono trattati solo gli aborti spontanei.

La segretaria Cgil Marche, Daniela Barbaresi

A commentare i dati, confrontando la situazione marchigiana a quella laziale, Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil Marche. «La Regione Lazio ha fatto ciò che anche noi chiediamo da tempo. Sopra la quota del 50% dei medici obiettori è necessario assumere personale non obiettore per consentire la corretta applicazione della legge. Non dimentichiamo che la 194 parla di servizio garantito dal presidio ospedaliero e non dall’area vasta. Disaggregando il dato del ministero per provincia emergono situazioni più complicate, penso alla provincia di Fermo dove questo diritto delle donne non è garantito. È pur vero – prosegue – che la Regione Marche lo scorso anno ha introdotto una misura importante per consentire l’utilizzo della Ru486 senza bisogno di day hospital. Purtroppo, però, in tutta la regione solo l’ospedale di Senigallia si è reso disponibile. In ogni caso, la decisione della Regione come anche il movimento civile diffuso che si è mobilitato più volte rispetto al tema, è un aspetto positivo. Non c’è un atteggiamento passivo».

Resta il dato che l’applicazione della 194 nelle Marche è ostacolato dalla crescita dei professionisti che si rifiutano per convizioni morali di praticare l’aborto, fino a diventare impossibile. L’ultimo caso, quello dell’ospedale di Jesi dello scorso anno, dove il servizio si era interrotto, riattivato solo a seguito della mobilitazione di diverse associazioni del territorio. Alle donne marchigiane, dunque, non resta, oltre che la contestazione, la decisione di rivolgersi a strutture ospedaliere fuori regione. Scelta che incide sull’aumento della spesa per la mobilità passiva del servizio sanitario regionale, come sottolinea Barbaresi che aggiuge: «Le donne che non vedono tutelato questo loro diritto vanno altrove o peggio. Aumentano infatti anche gli aborti spontanei, che spesso, purtroppo, vengono provocati dalle donne autonomamente, consultando internet e facendo uso di medicinali non abortivi per definizione, ma che di fatto hanno lo stesso effetto».

L’aumento degli obiettori ha risvolti non solo in tema di salute delle donne, ma anche sulla professione medica. Come spiega Mirella Giangiacomi,  Cgil Medici. «Il problema è che i medici abortisti, essendo sempre meno, finiscono per seguire solo quel servizio all’interno della struttura che deve garantire l’applicazione della legge, il sistema pubblico non può permettersi di non farlo – afferma -. Questo però penalizza la crescita professionale dei colleghi. La Regione Marche ha tentato di ovviare al problema consentendo la mobilità dei dirigenti medici, ma la situazione in giro per i presidi della regione è complicata».

«L’argomento è complesso – sostiene Oriano Mercante, del sindacato medici Anaao-Assomed -. Anche le scelte di coscienza sono ammesse dalla legge per la professione, dunque non si può escludere un collega da un concorso per una sua convinzione morale. Non credo dunque che la strada intrapresa dalla Regione Lazio sia corretta. D’altra parte c’è l’esigenza di garantire un servizio alle cittadine. Sul tipo di concorso indetto dal Lazio credo che saranno sollevati dubbi di legittimità, i requisiti specifici che si possono inserire in un bando pubblico riguardano solo dati oggettivi, ad esempio l’esperienza professionale in un dato settore, non credo si possa inserire un requisito di coscienza. Si tratterebbe di un requisito vessatorio».

 

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