di Federica Serfilippi
«Voglio vedere Pinti e parlarci. Incontrarlo sarebbe per me la chiusura di un capitolo della mia vita. Mi serve per andare avanti». La terapia di Romina Scaloni, la donna contagiata con il virus dell’Hiv dall’ex compagno Claudio Pinti, si chiama coraggio. Circa un mese fa, colei che nel maggio 2018 ha fatto scattare le indagini della Squadra Mobile ha chiesto di poter avere un incontro con il 36enne, condannato in primo grado a scontare 16 anni e 8 mesi per i reati di lesioni gravissime, riferibili a Romina, e omicidio volontario, accusa legata all’ex convivente Giovanna, morta nell’estate 2017 per una patologia tumorale connessa all’Hiv. Da parte di Romina, attraverso il suo legale Alessandro Scaloni, sono state presentate due istanze. Una al gup Paola Moscaroli, il giudice che emesso il verdetto. La seconda alla direzione di Rebibbia, carcere dove è recluso Pinti. La prima richiesta è stata accettata. L’altra ha ricevuto il diniego dal penitenziario romano.
Non è possibile far incontrare il detenuto con la donna che era parte civile al processo contro di lui. Non sarebbe idoneo perchè il procedimento ancora è aperto. Nel senso che devono ancora uscire le motivazioni della sentenza e un eventuale appello proposto dalla difesa. L’istanza verrà riprodotta da Romina. «E’ inconcepibile il diniego del carcere – sottolinea l’ex compagna del 36enne – perchè non può decidere la direzione di Rebibbia per Pinti. Doveva scegliere lui se vedermi oppure no. E’ illogico quanto accaduto». Ma perchè Romina vuole vedere la persona che le ha cambiato la vita? «Da quando ho avuto la diagnosi (era maggio 2018, ndr) non ho più avuto modo di parlarci. Per me vederlo significherebbe chiudere un cerchio e andare avanti. Se mai lo dovessi incontrare, non so neanche bene cosa potrei dirgli. Di sicuro è una cosa che mi sento. Il confronto mi serve come terapia».
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