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Tragedia di Servigliano,
la madre della bimba resta in carcere:
«Sono innocente» (foto-video)

CONVALIDATO dal Gip il fermo della mamma della piccola Jennifer. La 37enne ha reso dichiarazioni spontanee, deve rispondere di incendio doloso e morte come conseguenza di altro reato. I difensori: «Mancano accertamenti determinanti sull’orario della morte e sulla causa, assolutamente essenziali per arrivare a conoscere la verità». Presente in udienza anche il marito della donna

 

Pavlina Mitkova all’arrivo in tribunale

 

di Pierpaolo Pierleoni

Resta in carcere Pavlina Mitkova, la 37enne di origine bulgara accusata della morte della figlia Jennifer Francesca, 6 anni, nel tragico rogo avvenuto la notte dell’8 gennaio a Servigliano. Si è svolta stamattina al tribunale di Fermo l’udienza di convalida dell’arresto per la donna, comparsa davanti al Gup Cesare Marziali ed assistita dagli avvocati Gianmarco Sabbioni ed Emanuele Senesi. In aula anche il papà della bimba e compagno della Mitkova, il 41enne Ali Krasniqi, assistito dall’avvocato Maria Cristina Ascenzo. La famiglia si era trasferita a Servigliano lo scorso settembre da Passo di Treia dove avevano vissuto per circa un anno e mezzo.

Il capo d’imputazione per la donna è incendio doloso e morte come causa di altro reato. Ma determinanti saranno a questo punto le risultanze dell’autopsia effettuata lo scorso 10 gennaio sul corpo della piccola Jennifer. La salma rimane tuttora all’obitorio di Fermo, a disposizione dell’autorità giudiziaria. Qualora emerga che la bimba era già morta quando è divampato il rogo al civico 138 della circonvallazione Clementina, l’accusa potrebbe trasformarsi in quella più atroce: omicidio volontario.

La 37enne non ha risposto alle domande del Gip, ma ha reso dichiarazioni spontanee per ribadire la propria innocenza. «La mia assistita si è dichiarata estranea a qualunque evento che abbia provocato l’incendio – commenta, all’uscita dal tribunale, l’avvocato Gianmarco Sabbioni – Non abbiamo gli esiti dell’autopsia, non è chiaro cosa abbia causato la morte, nè l’ora del decesso. Il giudice, per la sicurezza di tutti, anche dell’indagata, ha ritenuto di mantenere le misure cautelari. La signora è visibilmente segnata da questo dolore. Ha respinto la ricostruzione dei fatti che le viene attribuita. Tutto deve essere ancora accertato. Da oggi ci potremo mettere fattivamente al lavoro per dare un contributo coscienzioso alla ricerca della verità ed alla difesa della nostra cliente. Ci sono elementi che possono portare a ritenere giustificata la strada della Procura della Repubblica ed altri che condurrebbero ad una soluzione opposta». «Mancano accertamenti determinanti sull’orario della morte della bambina e sulla causa – aggiunge l’avvocato Emanuele Senesi – si tratta di elementi assolutamente essenziali per arrivare a conoscere la verità, senza i quali ogni ipotesi al momento è prematura». La verità, insomma, sta nel corpo della sfortunata Jennifer. Il medico legale Alessia Romanelli ha preso 30 giorni di tempo per depositare il risultato dell’esame. Verosimile che fino ad allora la salma rimanga all’obitorio, perchè potrebbero essere disposti ulteriori accertamenti.

Per ora, gli inquirenti ritengono sia stata la Mickova ad appiccare il fuoco quella notte. Mentre fiamme e fumo avvolgevano l’abitazione, la piccola Jennifer era nel suo letto. Mamma Pavlina e la seconda figlia, di 4 anni, sono invece riuscite a scappare in strada. Il padre si trovava fuori quella notte, era uscito con degli amici ed è rientrato quando è stato avvisato del dramma consumatosi in casa.

C’era anche lui, Ali Krasniqi, stamattina. Disorientato dalla tempesta che ha devastato la sua famiglia, è arrivato a palazzo di giustizia insieme al suo legale. Fumava nervosamente, una sigaretta dopo l’altra. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni, rimandando ogni commento al suo avvocato. Da oltre una settimana non vede e non sente l’unica figlia rimasta, prelevata dalla scuola infanzia una mattina ed affidata ad una struttura protetta.

L’avvocato Ascenzo assiste il papà della piccola. «Il padre è molto provato, sia a livello affettivo che psicologico. Non riesce a darsi pace, non si spiega cosa sia accaduto. Lui chiede semplicemente chiarezza.  Qui c’è una tragedia nella tragedia: la morte della bambina a cui si aggiunge una famiglia distrutta. Vedremo se costituirci parte civile. Potremo stabilirlo solo quando avremo maggiore chiarezza sulle indagini. L’interesse primario in questo monento è fare la cosa migliore per la minore. La bimba ha perso la sorellina ed anche l’unità famigliare è venuta meno. Chiaramente, come ogni padre, il mio assistito spera di poterla riabbracciare preso».

 

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