di Fabrizio Cambriani
Esilarante l’istantanea della conferenza stampa dell’altro giorno, dove un disinvolto Ceriscioli, assieme alla sua giunta, comunicava all’urbe e all’orbe la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado. Per poi essere prontamente redarguito e sconfessato – in diretta Facebook – dal presidente del Consiglio in persona.
Contiene in sé, come nella migliore tradizione della commedia italiana, un che di drammatico. Qualcosa a metà tra il ragionier Fantozzi e l’armata Brancaleone. Un carnevalesco siparietto che invece di finire a torte in faccia, termina con la resa e il ritiro della tanto sbandierata ordinanza – presumo anelata dalle chat dei genitori – rinviandola di un giorno. In quel “era il signor Conte” c’era tutto l’imbarazzo, ma anche l’inadeguatezza del personaggio politico che, come un Fracchia qualsiasi, siede nello scomodo e scivoloso sedile, timoroso e reverentissimo, davanti al capo reparto di turno. Una roba che ha fatto, per l’intera giornata, il giro dei social media, tra la costernazione dei giornalisti, che si erano premurati di diffondere già la notizia e il dileggio dei visitatori che ci si sono fatti sopra delle crasse risate. Mettiamola così e guardiamo al bicchiere mezzo pieno: in un momento di particolare tensione nazionale, qualcuno si è adoperato per donarci un mezzo sorriso di distrazione. Ceriscioli, tuttavia incassa il colpo, ma come Rigoletto, medita una tremenda vendetta. Il martedì, a favore di telecamere e trascurando le linee guida nazionali, firma l’ordinanza. Con, in premessa, la seguente motivazione: “Considerata la prossimità del territorio marchigiano con la Regione Emilia Romagna in cui sono stati rilevati casi di contagio confermato da COVID- 19”. Il teatrino continua e culmina, nella stessa serata, in un conflitto istituzionale con il governo che decide di impugnarne il contenuto. Uno sgarbo inaudito e fuori da ogni logica politica, soprattutto in questa situazione di emergenza nazionale dove, anche le più radicali delle opposizioni scelgono la strada del dialogo e della collaborazione. Il governatore ridens, isolato nella posizione, ritiene di dover fare il bastian contrario. A dispetto di tutti e di tutto.
Ma il colpo di scena finale arriva quasi di notte, quando, come nei migliori gialli di Agatha Christie, si diffonde la notizia di un caso positivo nel Pesarese. Caso poi confermato, nella mattinata di oggi, da Borrelli. Attenzione ai tempi, perché qualcosa non torna. L’ordinanza che di fatto ferma tutto viene firmata da Ceriscioli verso le 18,30 di martedì pomeriggio e, nelle Marche, non si ha notizia alcuna di riscontri positivi al test sul coronavirus. L’annuncio di un caso nel Pesarese, da confermare con esami successivi, si diffonde solo intorno alle 21,30. Interpellato però in serata, in proposito, dalla testata per la formazione del giornalismo di Urbino “Il Ducato” Ceriscioli testualmente affermava: “La notizia è arrivata nel pomeriggio e aggravava ulteriormente la situazione, già seria dopo il caso confermato dell’uomo di Cattolica. Il governo è stato informato ma nemmeno questo è stato sufficiente per giustificare l’ordinanza, a differenza di quanto fatto con la Liguria. Per questo ho deciso di andare avanti nonostante il parere contrario dell’esecutivo”. Tuttavia, di questa nuova, clamorosa e decisiva circostanza – cioè del paziente risultato positivo al primo test – non si faceva alcun cenno nelle premesse dell’ordinanza emanata dal governatore in veste di pubblico ufficiale. Se Ceriscioli sapeva del contagio perché ne ha tenuto all’oscuro i marchigiani? E soprattutto perché non lo ha messo nero su bianco, dando così una maggiore valenza al suo atto amministrativo evitando ogni contrasto con Roma? E se, come afferma, della positività al test ne ha dato tempestivamente notizia al governo, perché da Roma non ne hanno tenuto conto?
Enigmi che ci piacerebbe venissero al più presto chiariti, così da cassare definitivamente qualsiasi libera interpretazione sulla comunicazione di notizie, da parte delle autorità competenti. Che, in casi come questi, sono di fondamentale importanza.
Indipendentemente dai risultati di laboratorio, resta tutto lo scontro tra Regione e Governo centrale. Una questione, in punto di diritto, delicatissima perché attiene alle limitazioni dei diritti di libertà previsti dalla Carta costituzionale. Può un presidente di regione – in assenza di criteri quantomeno concordati col governo e benché in presenza di una situazione di particolare e straordinaria emergenza – arbitrariamente comprimere o limitare le libertà garantite dalla Costituzione? Ovviamente non ho titoli per la risposta, ma legittimamente, mi pongo la domanda. Il punto politico è il nervosismo del nostro governatore. Che, come in un crescendo rossiniano, ultimamente lo ha portato in rotta di collisione con tutti i suoi interlocutori romani. Prima, dentro al proprio partito, con il segretario nazionale Zingaretti per le vicende della sua (sempre più remota) candidatura. Oggi, addirittura con il presidente Conte e l’intero governo di cui il Partito Democratico è importante azionista e fedele sostenitore. Una sequenza di contrasti che hanno assunto rilievo nazionale e che, sia detto per inciso, non giovano affatto alla causa dei marchigiani tutti. Tra l’altro, inserita in questo bizzarro contesto – molto più aderente alla sceneggiatura di un film – appare quantomeno singolare la circostanza che all’indomani della convulsa giornata di martedì, sia comparso una sorta di sondaggio che darebbe il governatore Ceriscioli popolarissimo nelle Marche, staccato a meno di due punti dal suo potenziale avversario, Acquaroli. Ovviamente si tratta di una fortuita coincidenza, poiché mi rifiuto categoricamente di pensare che Ceriscioli stia giocando la sua sopravvivenza politica sulla pelle, ma soprattutto sul portafoglio di tantissimi marchigiani che si vedono limitare nei propri movimenti e nelle loro vitali attività economiche.
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