di Giovanni De Franceschi (foto di Giusy Marinelli)
Il Pd ha deciso a stragrande maggioranza: Maurizio Mangialardi sarà il candidato governatore a Marche 2020. La direzione regionale, dopo quattro ore di riunione a Chiaravalle, ha dato il via libera con 35 voti favorevoli, due soli contrari e un astenuto (il sindaco di Macerata Romano Carancini) e con il bene placet del vicesegretario nazionale Andrea Orlando alla candidatura del sindaco di Senigallia.
Il nodo relativo al Codice etico, che escluderebbe dalla corsa chiunque sia stato rinviato a giudizio (Mangialardi è a processo per l’alluvione del 2014 a Senigallia), sarà valutato da un organismo terzo, quasi sicuramente nazionale. Ma sembra chiaro ormai che non dovrebbe rappresentare un ostacolo e anche se la norma parla chiaro, sarà una questione di interpretazione a risolvere l’impiccio. Certo, resterà comunque un’arma in mano ai rivali in campagna elettorale.
I dem dunque si sono ricompattati, dopo la guerra tra le due fazioni contrapposte di queste ultime settimane che ha visto da una parte Area 70 e dall’altra la minoranza capeggiata dal sindaco di Pesaro Matteo Ricci scontrarsi su un’eventuale ricandidatura del governatore uscente. Uno dei punti di svolta in questo senso dunque è stato senza dubbio il passo di lato proprio di Luca Ceriscioli e la conseguente investitura di Mangialardi (tanto che oggi lo stesso Mangialardi ha avuto un attimo di commozione nel ringraziare il governatore). A quel punto anche i big come Ricci e la sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, nonché il segretario regionale Giovanni Gostoli che fino a qualche giorno fa aveva dettato la linea di un civico come candidato, si sono trovati d’accordo sul sindaco di Senigallia. Anche perché, come ha certificato Orlando, la strada di un possibile accordo con il M5s era ormai definitivamente chiusa. E con essa la possibile candidatura dell’ex rettore Univpm Sauro Longhi.
Certo, resta sempre una fronda contraria, al di là dei voti oggi, alla scelta di Mangialardi: Paolo Petrini per esempio ha fatto il suo intervento e poi è uscito prima del voto, Antonio Mastrovincenzo, Mario Morgoni e Alessia Morani, si erano già detti contrari. Quindi dire che il Pd abbia ritrovato l’unità è prematuro, di sicuro però ha chiuso con la pericolosa fase di indecisione che aveva contraddistinto gli ultimi mesi. «Non è la candidatura più competitiva che avevamo a disposizione e non ci mette al riparo rispetto al risultato finale – commenta infatti il deputato Morgoni – però rispetto l’indicazione della maggioranza. Resto convinto che la figura della Mancinelli fosse la più forte e convincente. Anche perché su Mangialardi gravano pendenze giudiziarie che di certo non aiuteranno in campagna elettorale. Comunque confido che con la coalizione si trovi l’indicazione di una candidatura più unitaria possibile, se dovesse essere Mangialardi la rispetterò. Ma se dovesse venire fuori un altro nome, magari civico, il Pd dovrà tenerne conto, perché un atto di forza sarebbe da irresponsabili».
Il problema ora è rappresentato dagli alleati, che quasi in contemporanea con la fine della direzione regionale, hanno inviato un comunicato non proprio incoraggiante per la tenuta della coalizione. «Domani si riuniranno le forze politiche e le liste civiche che condividono il percorso di tenere una alleanza larga e civica e che sia esplicitata con una candidatura civica capace di rappresentare questa fase nuova», il lapidario quanto chiaro messaggio arrivato da Art.1, Azione, Diem 25, Italia in Comune, Le nostre Marche, +Europa e Uniti per le Marche (Psi, Verdi, Civici), Italia Viva. Che sia proprio Longhi il civico a cui stanno pensando gli alleati del centrosinistra? Magari tirando dentro anche il M5S, che si è sempre detto disponibile ad accordi con le liste civiche. L’incontro tra gli alleati e il Pd è previsto per martedì e non sarà per niente facile per Mangialardi cercare di convincere la galassia che va da Italia Viva a Art. 1. Il rischio che il centrosinistra alla fine si spacchi e vada con due candidati è molto concreto.
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