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Nuovo decreto, la carica di Giulianelli:
«Classe di governo incompetente
Tra due mesi moriranno le aziende»

ECONOMIA - L'affondo dell'amministratore unico del gruppo Lube che aveva già fermato la produzione due settimane fa. «Siamo in tempesta e come imprenditore mi aspetto che al comando dell’Italia ci sia il professionista migliore in ogni settore»

 

Fabio Giulianelli durante una convention del Gruppo Lube a Civitanova

 

di Luca Patrassi

«Certo che la salute viene prima di tutto, prima la vita certo, ma così fra due mesi sono morte le imprese. C’è un aspetto drammatico legato alla salute ma qui ora abbiamo una classe di governo senza competenze che non è in grado di affrontare il mare in tempesta, abbiamo un premier che fino a ieri faceva l’avvocato e fa le conferenze stampa a mezzanotte, senza contraddittorio, solo per dire ”qui comando io”, senza avere una valida strategia a medio termine anche a costo di scelte impopolari. Qui andiamo dietro al virus vivendo alla giornata, chiudiamo le stalle quando i buoi sono usciti, chiudiamo le imprese quando il danno è fatto. E’ come per gli incendi, non puoi correre dietro alle fiamme, ma realizzare una diga per poi bloccare le fiamme».

Fabio Giulianelli, imprenditore di lungo corso, amministratore unico del gruppo Lube, è sempre stato un uomo del fare e non del dire con giornate, mesi, anni passati in azienda per far volare fatturati, occupazione, benessere sociale. Oggi le sue prime parole di commento al decreto notturno del premier Conte sono tanto pesanti quanto chiare, ancora di più se provenienti da un imprenditore che ha fatto della territorialità e della programmazione una filosofia aziendale e una scelta di vita. Giulianelli chiede con forza il tempo delle azioni, delle decisioni e che a prenderle siano persone capaci: «Avevamo noi, per primi, chiuso l’azienda appunto per prevenire “l’incendio”: ok, ma ora non puoi chiudere le fabbriche con un decreto che non è un decreto, con emendamenti ancora da scrivere. Tu governo mi devi dire cosa vuoi fare tra un mese o due, quando ci sarà la ripartenza perché allora le imprese dovranno essere vive e così non lo saranno. Io guido un’azienda solida, posso farmi carico a marzo dei problemi di liquidità dei fornitori e dei clienti e lo faccio per salvarli: produco cucine ma mi trasformo in banca e mi sta bene farlo. Ma il governo mi deve dare una garanzia che le cifre impegnate nel salvare chi mi sta attorno mi vengano restituite sotto qualche forma. No alla demagogia dei voucher, del 60% del credito di imposta: il governo deve dare garanzie e risposte certe perché l’imperativo è tenere sane le aziende. Sicuramente è importante sostenere il turismo e i ristoranti ma sono le aziende che danno linfa al sistema Paese e producono ricchezza, benessere». La riflessione finale suona più come un appello a fermarsi prima del baratro economico: «Siamo in tempesta e questo è noto a tutti, ma appunto per questo come imprenditore mi aspetto che al comando dell’Italia ci sia il professionista migliore in ogni settore ed invece ci troviamo con una classe politica senza competenze che vive di ideali. Devono essere messe in campo le migliori energie che l’Italia ha, gente che sa di cosa si parla per aver affrontato la vita nelle trincee e sa quali possono essere le scelte migliori. Così invece tolgono l’ossigeno alle aziende e le lasciano morire. Oggi, dopo il decreto, non si sa ancora quali aziende lavorano e quali no. Siamo nel dramma ma al comando dell’Italia che almeno vadano le persone migliori, devo sapere che a guidarci nella tempesta ci sono i migliori tecnici, le migliori energie italiane».

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