di Federica Nardi
«Trattamento intensivo del tutto incompleto» e mancanza di «specialisti in anestesia e rianimazione disponibili». Questi i problemi principali sollevati nei confronti del reparto in Fiera a Civitanova, in costruzione per i pazienti Covid. A esporli Marco Chiarello, ex primario della Rianimazione di Camerino tornato dalla pensione per dare una mano nonché presidente regionale dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza aerea critica (Aaroiemac). Non questioni di poco conto, come sottolinea lo stesso Chiarello che pure nel documento, inviato al governatore Luca Ceriscioli e alla responsabile del servizio salute Lucia Di Furia nei giorni scorsi, fa un resoconto della gestione iniziale dell’emergenza definendo le decisioni prese «forti, necessarie e anche illuminate». Ma non nel caso della Fiera.
Criticata da più parti, l’opera – su modello di quella di Milano -, è stata voluta da Ceriscioli che ne ha affidato la realizzazione a Guido Bertolaso tramite donazioni private fatte confluire nel conto dell’Ordine dei cavalieri di Malta e, solo dopo, anche tramite il coinvolgimento della Fondazione Andrea Bocelli. Al di là del dibattito politico ora il progetto è oggetto di pesanti dubbi operativi da parte del medico e degli associati che rappresenta. Il problema per Chiarello è che a garantire la cura dei pazienti Covid è stata innanzitutto una “filiera” ospedaliera, cioè il fatto che fossero ricoverati in ospedali forniti di altri reparti fondamentali. «Nell’eventualità di soli “box” di Rianimazione e Terapia intensiva (Rti) ci troveremmo di fronte alla totale non condivisione, con l’assenza della filiera ospedaliera sopra ricordata e che ha garantito il superamento della fase acuta regionale» e quindi anche a «un trattamento intensivo del tutto incompleto». E poi, con quali medici? «Non ci sono specialisti in anestesia e rianimazione disponibili – spiega il medico -. E questa non è una affermazione secondaria, ma determinante, visto che la delibera regionale ha delegato Asur al reclutamento del personale idoneo. Analogamente trattasi anche degli infermieri di area critica che sono in carenza strutturale ed alcuni di questi in quarantena o addirittura colpiti dall’infezione». Nelle Marche, riporta Chiarello, mancano anche da prima dell’emergenza coronavirus ben 30 medici specialisti, «nonostante diversi concorsi a cui non ha partecipato nessuno o che hanno reclutato un numero insufficiente di colleghi». In un quadro dove già c’è stato un «netto aggravamento delle condizioni di lavoro».
Chiarello sostiene che il reparto in Fiera «potrebbe rilevarsi maggiormente utile come ricovero di Pazienti post critici in attesa della loro definitiva dimissione in ambienti protetti o a domicilio, lasciando a quelli regionali che permangono come Covid, il proseguo del trattamento intensivo e subintensivo nella preziosa esperienza maturata nel periodo recente».
Per Chiarello e l’associazione che rappresenta, infatti, «l’identificazione di “ospedali Covid”, che ha consentito il trattamento dei Pazienti ricoverati in Rti durante la fase critica, deve continuare per il periodo successivo con il ridimensionamento del loro numero correlato alla garanzia del trattamento in Rti di un numero di pazienti ritenuto idoneo (a nostro avviso attorno agli 80 o meno). La Rti, infatti, non può essere un reparto escluso dal contesto ospedaliero, laddove l’esperienza di questi 45 giorni garantirebbe sia l’importante filiera sopra ricordata cui si aggiunge il 118 e il Pronto Soccorso, sia l’interrelazione con gli altri specialisti e le dotazioni tecniche di laboratorio e di diagnostica per imaging adatte al paziente critico». Di questi ospedali «ne servirebbero 6 o 7 tra quelli attualmente definiti e distribuiti sul territorio regionale» e garantirebbero anche «di procedere ad interventi di tipo chirurgico secondo le diverse specialità, qualora le complicanze del paziente Covid ricoverato lo richiedessero, senza trasferimento del medesimo, a maggior ragione in ospedale no Covid». Sempre sul fronte dell’aspetto sanitario «la necessità di sottoporre pazienti Covid ad elevatissima gravità al trattamento specialistico Ecmo (circolazione extracorporea) deve essere garantita nel solo ospedale regionale che, come già effettuato in alcuni casi, rappresenta l’unico ambiente in grado di garantire questa complessa procedura».
Chiarello non tralascia nemmeno l’enorme fatica degli operatori, alle prese con l’emergenza da due mesi senza pause: «E’ necessario ponderare con gradualità la ripresa dell’attività chirurgica programmata negli ospedali no Covid. E’ infatti prioritario assicurare agli anestesisti rianimatori (come a tutti gli altri dipendenti, infermieri e Oss coinvolti) un adeguato e scaglionato periodo di riposo per il ricupero psicofisico dopo il periodo di stress lavorativo accumulato (turni ulteriori e con frequenza notturna incrementata, assenza di riposi adeguati e del riposo settimanale, blocco delle ferie), garantendo l’apertura dell’attività chirurgica con un numero di sedute operatorie che raggiunga progressivamente e in relazione all’andamento della casistica epidemica il numero ottimale settimanale o mensile pre-Covid». Infine «il supporto dei colleghi pensionati e specializzandi deve essere considerato ancora vitale in questa seconda fase, a supporto della turnistica specialistica che, in attesa dell’espletamento dei concorsi previsto in regione che deve avere una rapida esecuzione, tamponi il deficit regionale di anestesisti rianimatori».
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