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Strage di Corinaldo,
delusione dei familiari per la sentenza:
«Poco per chi ci ha rovinato la vita»

ANCONA – Amarezza nell'apprendere le pene inflitte ai sei imputati per il processo sulla tragedia di Corinaldo. La mamma di Daniele Pongetti: «Stiamo aspettando vivamente inizi l'altro filone del processo, perché secondo noi genitori è lì il punto centrale. Quel locale non doveva essere aperto» -VIDEO

Le vittime di Corinaldo

 

di Martina Marinangeli (foto di Giusy Marinelli)

Un sentimento di amarezza serpeggiava nell’aula al quinto piano del tribunale di Ancona dopo la lettura della sentenza che ha inflitto pene comprese tra i 10 anni e 5 mesi di reclusioni a 12 anni e 4 mesi. «Troppo pochi», secondo i familiari delle vittime, delusi per una sentenza «non all’altezza dell’immenso dolore che ci hanno provocato». Asia Nasoni, 14 anni, Emma Fabini, 14 anni, Daniele Pongetti, 16 anni, Benedetta Vitali, 15 anni, Mattia Orlandi, 15 anni e la giovane mamma Eleonora Girolimini, 39 anni non potranno più tornare all’affetto dei loro cari, ma «l’unica cosa che mi resta è chiedere giustizia per mia sorella – le parole di Francesco, fratello di Benedetta –: per la sentenza di oggi, un po’ di amarezza credo sia normale. Poi, come dice giustamente il nostro avvocato, aspettiamo le motivazioni e vedremo. Speravamo almeno che la pena fosse quella chiesta dalla procura, se non di più».

Francesco Vitali

Il pensiero va però già oltre la difficile giornata di oggi, e si spinge fino al secondo filone dell’inchiesta, quello legato alle autorizzazioni e agli aspetti della sicurezza del locale. L’indagine è ancora aperta. «C’è un’altra battaglia importantissima da combattere e andremo avanti – continua Francesco –: aspettiamo che inizi l’altro processo. Secondo me non siamo neanche a metà di tutto quello che dovremo subire e passare perché l’altro filone sarà decisivo, anche più di questo quanto a responsabilità. Oggi un po’ di delusione c’è, ma se perdo fiducia nella giustizia come faccio ad andare avanti?». Sentimenti condivisi da Giuseppe Orlandi, papà di Mattia, secondo cui «per il dolore immenso che ci hanno provocato e per la scomparsa dei nostri figli non ci può essere una sentenza che affievolisca il lutto. Mi aspettavo di più, almeno 15-17 anni. È la prima volta che vedo in faccia questi assassini, che con il loro gesto hanno compiuto una strage». Ma anche secondo lui, le responsabilità maggiori sono altrove: «inspiegabilmente, il 12 ottobre 2017 è stato fatto riaprire quel locale, nonostante non fosse a norma e non avesse i requisiti. È inammissibile una cosa del genere: dovevano fargli fare gli adeguamenti, la variazione (perché era un deposito agricolo) per renderlo una discoteca e solo allora permettere che riaprisse. È come se facessero circolare un camion che, secondo la revisione, non frena. Abbiamo perso i nostri figli per scelte assurde ed inconcepibili. È stato un errore madornale».

Giuseppe Orlandi

Donatella Magagnini, la mamma di Daniele Pongetti, ha dato agli avvocati degli imputati le foto del figlio affinché di dimentichino mai il dramma che hanno contribuito a causare. «Mi rincuora quanto mi ha detto l’avvocato, e cioè che è stata una buona sentenza – commenta –, ma certo per noi non è la stessa cosa: 12 o 11 anni non ci ridanno niente. Considerando soprattutto che mio figlio aveva 16 anni ed una vita davanti. Loro, gli imputati, usciranno giovani e continueranno la loro vita, spero un po’ diversa da quella che hanno condotto finora. Spero che almeno questa tragedia sia servita loro da lezione per cambiare, anche se non ci credo molto. Comunque è un grande passo avanti, finalmente abbiamo finito questa parte e stiamo aspettando vivamente che inizi l’altro filone, quello che ci interessa proprio tanto perché secondo noi genitori è lì il punto centrale. Quel locale non doveva essere aperto, non sono state controllate le norme di sicurezza. C’erano organi adibiti per fare questo, ma sono risultati inesistenti. Per come la vedo io – e questo pensiero è condiviso anche dagli altri genitori, con cui mi sono confrontata – la vera responsabilità sta nel fatto che quel locale fosse aperto. L’esito di quel processo è la motivazione che mi spinge ad andare avanti. Certo, anche gli imputati del processo di oggi avevano le loro colpe e con le loro azioni hanno fatto scatenare qualcosa quella sera: tutto ha un suo perché».

Paolo Curi

Paolo Curi, marito di Eleonora Girolomini, un po’ se lo aspettava: «immaginavo fosse difficile che la pena coincidesse con quanto chiesto dai Pm, che chiedono sempre il massimo per i reati contestati, però ci ho sperato. Purtroppo così non è stato. Non li avevo mai visti e quando sono partito da casa stamattina già provavo un sentimento non dico di odio, perché è una parola grossa, ma comunque ci hanno rovinato la vita. Non solo loro, ma anche loro. Vedendoli qua, questo sentimento è aumentato perché ci sono sembrati molto sbruffoni: si giravano sempre e guardavano male addirittura, quasi fosse una sfida. Gli anni che hanno preso sono pochi: spero che almeno nell’altro processo vengano condannati anche quelli che, secondo me, sono i maggiori responsabili, ovvero i gestori del locale, la Commissione che ha riaperto la discoteca nel 2017 nonostante non avesse i permessi: se non fosse stata riaperta, mia moglie non sarebbe morta. Mia figlia mi ha chiesto perché abbiano preso meno anni di quanti richiesti. Comunque, anche se gli avessero dato 18 anni, sarebbe sì stata una soddisfazione perché avrebbero pagato per quello che hanno fatto, ma l’importante è che non finisca qui».

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