di Marco Benedettelli
Juri è tornato in via Madre Teresa di Calcutta dopo sei mesi di ricovero e lo hanno accolto con una festa. Per lui il Centro Papa Giovanni XXIII è la letteralmente la seconda casa, da una ventina di anni passa le sue giornate al centro diurno della struttura che a Posatora, in via Madre Teresa di Calcutta, si prende cura delle persone disabili. Juri ha la sindrome di Down è quando è arrivato in cortile accompagnato dal pulmino del Centro, tutti hanno applaudito di gioia, abbracciandolo con gli occhi, da lontano. Mancava da sei mesi Juri, da quando, poche settimane prima di compiere i suoi 42 anni, una sera del 6 marzo si è ricoverato a Torrette, positivo al Covid19. È finito subito in terapia intensiva e, dopo 14 giorni, ha subito la tracheostomia che gli ha permesso di continuare a respirare mentre nei suoi polmoni il virus divampava.
«Mio fratello ha ancora i segni della malattia addosso. Il foro della tracheostomia nella sua gola è ancora aperto e dobbiamo ogni giorni gestire la cannula, curarla, sistemare tanti particolari, talvolta aspirare il catarro che gli si accumula. Abbiamo imparato a gestire queste pratiche col supporto dell’Aid, l’assistenza infermieristica domiciliare che è ci ha insegnato come fare fino a renderci autonomi – racconta Barbara Braconi, la sorella di Juri – per fortuna ora mio fratello è tornato al Centro Papa Giovanni XXIII, dove trascorre le giornate coi suoi amici. Per lui la routine è fondamentale e sente la gioia di stare con gli altri. Se potesse andarci tutti i giorni, sarebbe meglio». Qui Juri trascorre le sue giornate fra tante attività che gli educatori hanno organizzato all’aperto, come la manutenzione del verde pubblico intorno alla struttura, o qualche passeggiata per Posatora. Ma il normale decorso delle attività è spezzato, la pandemia impone di prosciugare anche la dimensione dello stare insieme per chi ha ancor più bisogno di socialità, come le persone vulnerabili. La Regione Marche nelle scorse settimane ha disposto di dimezzare il servizio nei centri residenziali, per garantire il distanziamento e ora anche al Centro Papa Giovanni XXIII gli ospiti restano più tempo a casa propria, perché possono andare solo a giorni alterni, uno sì e l’altro no.
«Capiamo benissimo la necessità della norma anti Sars-CoV2. E quindi bisogna adattarsi. La situazione, certo, è difficile da gestire quando mio fratello è a casa. Avremmo bisogno di forme d’assistenza a domicilio, ma in questo senso le risposte dai servizi sociali tardano ad arrivare. Non è facile», sospira al telefono Barbara, piena comunque di determinazione. E non c’è solo la preoccupazione per il fratello maggiore. La malattia ha colpito la loro famiglia con crudele virulenza. Il padre è morto di Covid, mentre Juri era intubato. Si era ricoverato lo stesso giorno del figlio, ma non ce l’ha fatta. Juri non lo ha trovato a casa quando è tornato, dopo tre mesi di intensiva e altri tre mesi di riabilitazione passati a Villa Adria, struttura dell’Istituto S. Stefano di Porto Potenza Picena. «Ora ad occuparci di lui siamo io, che lavoro e mia madre, ed anche lei si è ammalata di Covid durante la prima ondata e ne sta superando ancora i postumi – continua Barbara, che aggiunge con riconoscenza: – per fortuna però c’è il sostengo dei nostri parenti. E noi siamo una famiglia con tantissimi amici generosi, che ci aiutano. E ci sono le giornate nel diurno del Centro Papa Giovanni XXIII, dove mio fratello è seguito dai bravissimi educatori e operatori della cooperativa. Grazie alla logopedia degli ultimi mesi ha fatto anche dei grandi progressi di linguaggio. Lui è bravissimo, la sua presenza è intensa, la sua collaborazione, la sua consapevolezza, sono incredibili».
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