di Claudio Maria Maffei*
Lunedì nelle Marche come in altre regioni italiane ricomincia la scuola per gli studenti delle superiori. Con una ordinanza di alcuni giorni fa il presidente Acquaroli ha anticipato al 25 gennaio il ritorno in classe delle scuole superiori in presenza al 50%. Questa è decisamente una buona notizia per il significato anche psicologico che ha questa decisione innanzitutto nel mondo della scuola, ma più in generale per la sensazione che dà a tutti di una vita sociale che piano piano si riavvia verso una vita più normale.
Ma questo ritorno a scuola è sicuro? Sia per gli studenti che per tutta la comunità in cui gli studenti vivono? Vale la pena a questo riguardo leggere il documento predisposto meno di un mese fa dall’Istituto superiore di sanità proprio a proposito della apertura delle scuole. In questo documento si conclude così una analisi sui dati sull’andamento della pandemia nelle varie Regioni in rapporto alla chiusura/riapertura differenziata delle scuole: “La decisione di riaprire le scuole comporta un difficile compromesso tra le conseguenze epidemiologiche e le esigenze educative e di sviluppo dei bambini. Per un ritorno a scuola in presenza, dopo le misure restrittive adottate in seguito alla seconda ondata dell’epidemia di Covid-19, è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza. Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali.”
Insomma, la riapertura non può avvenire con una sicurezza del 100% che non ci sia un impatto in termini di nuovi casi, ma si è visto ovunque che il contributo dell’ambiente scolastico alla circolazione del virus è ridotto. Tanto più se viene accompagnata da un miglioramento della sicurezza nei trasporti e da un utilizzo della scuola per interventi formativi su alunni e personale docente e non sui corretti comportamenti da tenere per la prevenzione del contagio. Tutte cose che la Regione si è impegnata a fare e questa è un’altra buona notizia.
Lascia invece perplessa la decisione di offrire la possibilità su base volontaria a tutti gli studenti, insegnanti e altro personale scolastico di potersi recare nei giorni dal 20 gennaio al 4 febbraio a seconda delle località, nei punti già operativi sul territorio regionale dello screening “Marche Sicure” per effettuare i tamponi rapidi prima e durante il rientro in presenza nelle scuole superiori. La perplessità nasce dalla scarsa affidabilità dei test antigenici rapidi o meglio dal fatto che sulla loro affidabilità ancora ne sappiamo pochissimo pur avendone fatto un gran uso. E allora, già che ci siamo vediamo di ragionarci un attimo su questa Operazione Marche Sicure, quella dello screening di massa.
Diamo per buono che tutto quello che si fa per il contenimento della circolazione del virus è in partenza una buona cosa, ma quella dello screening di massa è stata una scelta che non a caso diverse Regioni hanno prima preso in considerazione e poi scartato. Si sapeva già prima di partire che i test rapidi hanno spesso molti problemi in termini di validità dei risultati. Molte persone contagiate sfuggono al test che le definisce negative e altre vengono definite positive quando in realtà non sono contagiate. Quei casi che vengono rispettivamente definiti “falsi negativi” e “falsi positivi”. Si sapeva già che la ricerca “a caso” tra le persone senza sintomi del virus trova pochi casi e rischia di incidere pochissimo sull’andamento della epidemia. Si sapeva anche che lo screening poteva dare una sensazione di falsa sicurezza nelle persone risultate negative (ammesso che lo fossero davvero). E si sapeva che avrebbe assorbito molte risorse in termini di personale.
Vediamo adesso quello che è successo. In occasione dell’inizio della operazione Marche Sicure i nuovi casi hanno cominciato a salire anziché scendere e solo adesso sembra che comincino a ridursi. Non si sa nulla sui controlli fatti sui positivi (erano davvero positivi?) e soprattutto non si sa nulla su quelli risultati negativi (ci sono stati nuovi casi o addirittura ricoveri tra di loro?). Quindi è difficile capire cosa c’è dietro la percentuale bassissima di positivi (solo lo 0,5%). La partecipazione è stata bassissima arrivando a mala pena al 15% (a Bolzano in tre giorni aveva a novembre partecipato due cittadini su tre). In compenso il personale impegnato è stato tanto, mentre i Dipartimenti di Prevenzione, gli ospedali e le strutture residenziali avevano gravi problemi di disponibilità di personale. Non per nulla il tracciamento dei contatti dei nuovi casi avviene con difficoltà ed in ritardo e negli ospedali e nelle strutture residenziali ci sono focolai epidemici.
I dati sulla epidemia ci dicono che la discesa della curva epidemica è ancora lenta nelle Marche dove la diminuzione dei nuovi casi appare poco più che accennata e dove ancora i numeri di decessi, ricoveri e ricoveri in terapia intensiva sono alti (per capirci ancora a rischio di zona arancione in base ai criteri ministeriali). E quindi va bene, anzi benissimo, la riapertura delle scuole, ma investiamo su ciò che può servire di più come la attività dei Dipartimenti di Prevenzione e chiudiamo subito l’Operazione Marche Sicure. Come si è visto anche a Bolzano, screening di massa e sicurezza alla fine non vanno d’accordo. E’ altrove ed in altri modi che si dà sicurezza ai cittadini.
*Medico in pensione, già dirigente sanitario
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