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Elica, il tradimento di Casoli
e la Spoon River marchigiana

IL COMMENTO di Fabrizio Cambriani - L'annuncio dell'amaro calice del piano industriale con un taglio di oltre 400 unità e la delocalizzazione di gran parte della produzione in Polonia è una delle tante stazioni di via crucis che si dispiegano da Matelica fino a Fabriano. Anche ieri è continuato il presidio dei lavoratori, che oggi sono tornati al lavoro

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Il presidio dei lavorati Elica a Pasquetta

 

di Fabrizio Cambriani

Appena a dicembre scorso, in occasione dei saluti di Natale alle maestranze, Francesco Casoli, patron della Elica, annunciava altri cinquanta anni di vita alla sua azienda. Ciò, dopo che i lavoratori avevano raddoppiato la produzione del piano di cottura con tanto di aspirazione incorporata. Passando dai 42mila pezzi agli 82mila in un solo anno. Alla vigilia di Pasqua, invece l’annuncio dell’amaro calice del piano industriale. Con un taglio di oltre 400 unità e la delocalizzazione di gran parte della produzione in Polonia. Con l’indotto, faranno presumibilmente altre tre o quattrocento posti di lavoro in meno in un territorio che, da quindici anni a questa parte, non fa che chiudere fabbriche. Quella dell’Elica è una delle tante stazioni di via crucis che si dispiegano da Matelica fino a Fabriano. Una Spoon River, costellata di capannoni ormai chiusi o in fase di chiusura, che potrebbe raccogliere un’antologia di interessanti racconti: dai bei tempi dell’industrializzazione dei primi anni Sessanta, fino al dramma della disoccupazione che arriva ai giorni nostri.  Condita, peraltro da un visibile paradosso: l’attuale costruzione di una strada più larga e importante che servirebbe – almeno nelle intenzioni – a far viaggiare molto più velocemente merci che – ahimè – non si producono più in questi luoghi, ma altrove. E questo altrove non trova neppure cittadinanza italiana. Le delocalizzazioni oggi seguono la direttrice dei corridoi dei paesi dell’est Europa. Coma la Polonia e l’Ungheria. Dove i diritti civili vengono sempre più compressi e il dumping salariale permette un costo della mano d’opera a quattro soldi. Evidentemente, nel conto profitti e perdite della Elica, non sono stati sufficienti i sacrifici che i lavoratori, nel corso degli ultimi anni, hanno realizzato in termini economici. Anche sottoscrivendo rinunce a diritti soggettivi.

presidio-elica1-325x217Ma quello che fa loro più male è il tradimento dei valori che Francesco Casoli ha sempre incarnato e professato. E che, in passato, lo aveva portato anche a occupare uno seggio al Senato sotto le insegne di Forza Italia. Dove, va detto per dovere di cronaca, non ha lasciato gran segno. Se non gli appena dodici disegni di legge di cui è stato solo cofirmatario. “Essere socialmente responsabili, per Elica, significa essere responsabili non solo nei confronti dell’ambiente e del territorio che ospita le sedi e gli stabilimenti della Società nel mondo, ma anche nei confronti delle persone, la prima e più importante risorsa”. Così si legge nel sito dell’azienda alla pagina responsabilità sociali. Un voltafaccia che aggiunge numeri sempre più impressionanti alla statistica dei senza lavoro. Che poi, nella realtà, sono persone in carne e ossa. Sempre alle prese con i problemi della quotidianità e che si ritrovano senza più reddito e con le rate del mutuo da pagare. L’ennesima bomba sociale che deflagra all’improvviso. Nell’assuefazione degli abitanti di tutto il territorio, ormai abituati e rassegnati da altre precedenti vicende. Dall’incapacità della politica di riuscire a mettere in piedi almeno un abbozzo di strategia industriale. Non solo fatta di appetibili slogan, ma che risulti seria e credibile.

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A sinistra, Giampiero Santoni della Fim-Cisl

Sono volti quasi inespressivi quelli di quanti, lunedì di Pasquetta, hanno scelto di presidiare i cancelli della fabbrica. Il cielo è sereno e già solo in pullover fa caldo. Si respira solo rassegnazione. Non c’è astio. Solo delusione tra quelle facce di lavoratrici e lavoratori che vedono, neanche tanto in lontananza, svanire il loro sogno di una vita dignitosa. Sanno che difficilmente potranno essere assorbiti da altre realtà industriali. Soprattutto perché l’età media del settore metalmeccanico è alta e, a cinquant’anni, nessuno ti offrirà più un posto di lavoro. Giampiero Santoni è il segretario della Fim-Cisl regionale e si capisce che ha sulle spalle la lunga esperienza di chi è abituato a condurre questo genere di vertenze. Quando gli chiedo a brutto muso se, anche nel recente passato, non siano stati troppo accondiscendenti con l’azienda, mi risponde che il suo ruolo gli imponeva di ricercare delle soluzioni condivise per il bene dei lavoratori. Che pur di salvare la fabbrica e con essa il posto di lavoro, hanno scelto di decurtarsi lo stipendio. Di rinunciare alle pause e ai premi. Aggiunge che martedì mattina saranno tutti quanti al loro posto di lavoro. Con la stessa dedizione, ma soprattutto con la dignità che li ha sempre caratterizzati. Solo per un attimo perde l’aplomb che lo contraddistingue. È quando gli chiedo cosa ne pensa di Salvini che è andato ad abbracciare Orban e Morawiecki, i premier rispettivamente di Ungheria e Polonia. Proprio nello stesso giorno in cui la Elica annunciava la delocalizzazione sulla via di Varsavia e con essa gli esuberi di oltre 400 lavoratori italiani e delle loro famiglie. Ecco, lì si inalbera un po’ e risponde deciso che se le istituzioni dovessero destinare delle risorse per questa vertenza, dovrebbero essere impiegate nel territorio, fino all’ultimo centesimo. Non un euro per gli stabilimenti all’estero. Poi alza lo sguardo e, preoccupato, guarda lontano verso l’orizzonte. Il 31 ottobre – mi dice – scade la cassa integrazione per lo stabilimento della ex Merloni di Matelica. Servono investitori per 34 milioni di euro. Un’altra, ennesima corsa contro il tempo per salvare trecento posti di lavoro ed evitare l’ennesima croce nella Spoon River che ormai da troppo tempo corre sulla direttrice Matelica-Fabriano.

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