di Agnese Carnevali
Il lavoro c’è. E tanto. Paradossalmente, troppo per gli spazi attualmente disponibili in porto. «Diteci se dobbiamo mandare via gli armatori». È Elio Libri, presidente di Icop, l’Impresa compagnia portuali, a lanciare la provocazione. Scalo sempre più affamato di spazi, per un traffico, in particolare quello dei container, sempre più in espansione. A mancare non tanto le banchine quanto i piazzali per lo stoccaggio dei contenitori. «Siamo in emergenza da mesi – riprende Libri -, una situazione sempre più difficile da gestire. I traffici esplodono, le compagnie reclamano ed in queste condizioni non siamo in grando di svolgere i nostri servizi fondamentali. E in tutto questo, assistiamo all’immobilismo totale della nuova Autorità di sistema, che ci chiede proposte per risolvere i problemi, ma una volta fornite afferma di non poterle attuare e non è in grado di avanzare alternative. Siamo al paradosso. Così il porto muore di lavoro».
Come si è arrivati all’emergenza? Con l’operatività della banchina 26 non è migliorata la situazione?
«Non si tratta più delle banchine. Il nuovo assetto dello scalo, iniziato a cavallo tra il 2012 ed il 2013 con l’abbattimento dei silos della Bunge alla 22, prima e vera banchina pubblica, e proseguito con la messa in funzione della 26, le nuove concessioni, l’ingresso di nuovi operatori per la movimentazione delle merci nonché ingenti investimenti dei privati, ha dato forte impulso ai traffici, soprattutto container. Ora però siamo a corto di piazzali. Una situazione che è diventata ancora più critica con la sottrazione del porto storico alle operazioni commerciali. Oggi (12 maggio) siamo al collasso operativo».
Non erano ormai assenti i traffici al Molo Rizzo? Fu uno degli argomenti per restituire l’area alla città.
«I traffici erano carenti, ma quell’area rappresentava e avrebbe rappresentato una buona valvola di sfogo per il carico generale e le rinfuse, rendendo più operativo l’intero porto. Alla sottrazione di quegli spazi non ha fatto seguito l’ampliamento di quelli nella nuova darsena. Anzi, ora con i lavori di consolidamento alla 22, non solo abbiamo fuori uso una banchina, ma il cantiere ha mangiato altri metri di asfalto. Così non riusciamo a svolgere correttamente il nostro lavoro. Non c’è solo l’approdo della nave, ma tutte le operazioni ad essa connesse: il controllo del contenitore, la verifica della pulizia e molte altre ancora. Non chiediamo sconti, non chiediamo favori, diteci se dobbiamo mandare via gli armatori».
Avete soluzioni?
«Le abbiamo e le abbiamo suggerite anche all’Autorità di sistema. Ma siamo nell’immobilismo totale. Disponiamo di un ampio spazio ricavato dall’abbattimento dei capannoni della ex Fiera. Si spostino lì i tir in sosta, destinando ai contenitori la zona oggi occupata dai camion di fronte all’ex stabilimento Bunge. La stessa area occupata un tempo dalla multinazionale sarebbe uno spazio importante da recuperare, bloccato da una bonifica mai fatta da sette anni. Non pensiamo che con un colpo di bacchetta magica si possa risolvere tutto, ma il brutto è che non riusciamo a vedere un’uscita a breve da quest’emergenza. Il rischio che le compagnie abbandonino lo scalo è reale. Ravenna è vicina e quello che ha fatto sempre la differenza per Ancona è stata la flessibilità dei suoi servizi, avendo per conformazione, da sempre, problemi di spazi».
Sulla ex Fiera si parla da tempo del progetto della nuova biglietteria però. Come la mettiamo?
«Non dico che la soluzione dei tir debba essere definitiva, ma intanto si può adottare, invece di lasciare quella distesa vuota. Questo ci consentirebbe di prendere un po’ fiato. Ci sono spazi anche all’ex Tubimar che però non è mai entrata all’interno della cinta demaniale, come era previsto in un progetto del 2006. Se quell’area non diventa porto, le operazioni restano troppo complicate. Purtroppoessere diventati Autorità di sistema si sta rivelando una pessima cosa. Le competenze ed il raggio d’azione sono vasti, c’è minore presenza sul territorio, minor condivizione delle scelte, vista anche l’abolizione del comitato portuale e non riusciamo ad avere le risposte di cui abbiamo bisogno».
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