«Fino a quando avrò voce, continuerò a gridare la mia estraneità in merito alla tragedia di Corinaldo. Con quei fatti e con chi ha concorso nel causarli io non c’entro nulla». Queste le parole di Andrea Cavallari, uno dei sei rapinatori della Bassa Modenese accusato di aver concorso nella trasformazione della Lanterna Azzurra di Corinaldo in una trappola mortale, dopo la propagazione nell’aria dello spray al peperoncino, utilizzato – sostiene la procura – per facilitare azioni di scippi e rapine. Nella notte dell’8 dicembre 2018 morirono sei persone, altre 200 rimasero ferite nel tentativo di trovare una via d’uscita dal locale. Questa mattina, in videocollegamento dal carcere, il 23enne è stato ascoltato dalla Corte d’Assise d’Appello. In primo grado, è stato condannato in abbreviato a 11 anni e 6 mesi di reclusione. Il gup ha riconosciuto a vario titolo l’omicidio preterintenzionale, le lesioni personali e singoli episodi di furti e rapine. «Nella mia vita – ha detto Cavallari – ho commesso innumerevoli errori e ne sono consapevole. Non voglio giustificarmi e non voglio nascondermi per sminuire le mie azioni. Le ho fatte e voglio pagare quello che mi spetta, continuando a chiedere scusa. Ma non posso che chiedere una cosa: vi scongiuro di guardare alla mia posizione con obiettività. Con i fatti di Corinaldo e con chi ha concorso nel causare quella tragedia io non c’entro nulla. Finchè mi rimarrà anche un solo filo di voce, continuerò a gridare la mia estraneità».
Come sostenuto dai suoi legali, Cavallari si è iscritto alla facoltà di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, dando anche alcuni esami. Stando alla difesa, non ci sarebbero i presupposti per contestare l’omicidio e il reato di associazione a delinquere. Questo ultimo non era stato riconosciuto in primo grado dal gup ed è stato motivo di appello da parte della procura. L’udienza è proseguita con l’arringa del legale del 24enne Moez Akari e del 23enne Souhaib Haddada. Il primo dal gup è stato condannato a 11 anni e 2 mesi, il secondo a 10 anni e 11 mesi. Per la difesa, i due imputati «non hanno tenuto una condotta tesa a provocare la tragedia di Corinaldo. Non hanno agevolato la sequenza causale che ha portato a quei fatti. Le vittime sono morte perché è crollata la balaustra esterna, perché la Lanterna era un magazzino trasformato in una discoteca, perché le uscite di sicurezza erano idonee». Il 10 marzo toccherà parlare alle difese del 22enne Ugo Di Puorto (12 anni e 4 mesi in primo grado) e dei coetanei Raffaele Mormone (12 anni e 4 mesi) e Badr Amouiyah (10 anni e 5 mesi). Un altro filone d’indagine, quello legato alla sicurezza del locale e agli aspetti amministrativi, è in corso. Sono 18 gli imputati: nove (tra cui la Commissione di Vigilanza che aveva rilasciato al locale la licenza di pubblico spettacolo) sono stati lo scorso martedì rinviati a giudizio. Un’altra fetta sta procedendo con i riti abbreviati o con i patteggiamenti.
(fe.ser)
Inchiesta bis strage di Corinaldo: a processo il sindaco e la Commissione di Vigilanza
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