Tania guarda il cielo nuvoloso del suo villaggio rurale, a circa 100 chilometri da Bila Terkva nell’Ucraina centrale, e nel quarto giorno dell’attacco russo lo vede ancora solcare dagli aerei militari. «I carri armati lì non sono ancora arrivati ma è in vigore il coprifuoco dalle 17 di pomeriggio alle 8 di mattina. Gli abitanti del paesino ieri sera hanno sbarrato la strada d’accesso con vario materiale per osteggiare l’arrivo dei tank russi. Le sue amiche, in città, sono costrette a correre nei bunker – rifugi al suono delle sirene. Nel villaggio almeno non scarseggiano neppure i viveri grazie alla campagna che, con le sue colture e gli animali, regala da vivere. Però mi manca tanto di poterla riabbracciare». Sta vivendo ore di angoscia ad Osimo, Roberta Pirani. L’osimana ha conosciuto Tania nel 2011. Come altre famiglie della provincia di Ancona, tramite l’associazione ucraina Nabat e quella italiana ‘Save Tomorrow Odv’, ha deciso di intraprendere con lei il percorso dell’affido internazionale pro-tempore offerto dal progetto di risanamento per i bimbi che vivono nelle zone colpite dal disastro nucleare di Chernobyl.
Quella bambina minuta era orfana dei genitori e viveva insieme al fratello minore Misha a casa della zia materna in uno dei tanti villaggi rurali dell’Oblast di Kiev. Un gesto d’amore che in questi dieci anni ha permesso alla ragazzina ucraina, oggi 21enne, che parla e scrive perfettamente la nostra lingua, di raggiungere anche due volte l’anno le Marche, in estate e a Natale per abbracciare la sua mamma italiana. «Si, per me è come se fosse mia figlia – racconta Roberta – Oltre a vederci qui a casa, sono andata a trovarla con il mio compagno Marco nel suo paesino, e ci sentiamo spesso per video chiamata in queste ore concitate. Tania è ripartita da Osimo lo scorso 16 gennaio, dopo le vacanze di Natale, e sono già settimane che la sto invitando a lasciare l’Ucraina dopo il diffondersi delle notizie allarmanti di una possibile invasione russa fin da metà febbraio». Sono giorni drammatici, di terrore per la ragazza, che frequenta l’ultimo anno di una istituto superiore per prepararsi all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole elementari. Sarebbe dovuta partire a metà marzo con altri coetanei per andare a lavorare in Germania nella raccolta delle fragole. La guerra ha cambiato i suoi piani.
«Vorrebbe mettersi al sicuro tornando in Italia come rifugiata ma vorrebbe farlo solo insieme a tutti i suoi affetti. Per questo motivo resta in patria, nonostante le bombe. Sono preoccupata – ammette Roberta Pirani – quando riesco a contattarla con le videochiamate o leggo i suoi messaggi in chat. Sono giorni che la imploro di aggregarsi a qualche comitiva per muoversi in sicurezza e raggiungere la frontiera con la Polonia, evitando così imboscate. Mi ripete che non vuole lasciare il fratello Misha di 19 anni e il suo fidanzato che con gli altri uomini del villaggio stanno svegli di notte per tutelare la comunità dall’arrivo delle truppe russe, pronti a difenderla. Dice pure: “Vedi anche il presidente Zelensky rimane a Kiev e non scappa”. La popolazione sente forti gli ideali nazionalisti e gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono comunque lasciare il Paese dove ormai vige la legge marziale. I due ragazzi sarebbero fermati alla frontiera. Capisco che in questo momento è pericoloso muoversi, come mi hanno confermato dall’ambasciata italiana in Ucraina, fin dall’inizio delle ostilità belliche». Un clima, insomma, incerto, di sospetto, difficilissimo e senza futuro per i giovani se non si ferma la guerra. E mentre si moltiplicano anche in Italia gli appelli per aprire i corridoi umanitari anche ai tanti bambini orfani dell’Ucraina, Roberta spera con tutto il cuore che la ragazza cambi idea e si metta in viaggio. «Qui abiterebbe con me e la mia famiglia alla quale è molto legata, soprattutto a mia madre: potrebbe continuare a studiare o, se vuole potrebbe, anche decidere di lavorare» assicura.
(m.p.c.)
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