di Alberto Bignami
Quattro lunghi giorni senza vedere l’ombra di un soccorritore «e non c’è nessuno nemmeno dell’Esercito».
E’ il dramma che, dal giorno dell’alluvione, giovedì notte, sta vivendo Martina Zambelli, residente a Brugnetto di Senigallia dove il Misa ha travolto la sua abitazione e quelle di altre persone.
La zona è quella della Strada Provinciale Corinaldese, vicino a Mandolini.
Ieri sera, i vigili del fuoco e la protezione civile «sono andati ad aprire l’argine e finalmente questa mattina l’acqua è quasi assente – spiega -, ma è rimasto tantissimo fango e melma. Finalmente però potremo iniziare a spalare. Fino a ieri, infatti – prosegue – eravamo completamente immersi nell’acqua tanto che i volontari che si sono presentati, sono dovuti andare via perché non si poteva fare assolutamente nulla. E’ acqua putrida, maleodorante, l’aria è irrespirabile, perché proviene anche dalle fognature».
La sua abitazione è un condominio di 16 famiglie «con tanti bambini – riprende -. Era sera, verso le 23, quando cinque appartamenti al piano terra sono stati completamente sommersi, tra cui il mio. Abbiamo fatto solo in tempo a prendere i bambini e a salire al piano di sopra portandoci via solo la
borsa dei pannolini perché non c’era tempo per fare altro. Siamo andati quindi dai vicini – continua – e avevamo tantissima paura. Noi siamo stati anche fortunati perché nella parte della palazzina dove viviamo noi, che è di tre piani, i vicini erano in casa. L’acqua saliva così velocemente che avevamo il terrore potesse coprire l’intero stabile. A fianco, invece – continua -, ci sono altre famiglie con altri bambini, di cui una di 9 mesi, e non hanno avuto la possibilità di andare al secondo piano perché i vicini non c’erano e hanno quindi trovato le loro porte sbarrate. Hanno anche tentato di aprirle a pugni ma, essendo porte blindate, si sono solo fatti male alle mani nel tentativo di sfondarle per mettersi in salvo. Erano in 8 in un pianerottolo, e mancavano 3 gradini perché l’acqua arrivasse a loro, tanto che erano pronti a gettarsi e cercare di raggiungere qualche posto per mettersi in salvo con la bimba di 9 mesi e il bimbo di 5 anni, mentre l’altra famiglia ha bimbi di 2 anni e una di 10. Per fortuna però l’acqua si è poi fermata, non salendo a coprire tutto il pianerottolo. Loro sono traumatizzati e sono anche le persone da aiutare di più perché non sono originarie di Senigallia: trasferiti qui da pochi anni, non hanno tanti amici e soprattutto non hanno parenti vicino».
Non riuscendo a fare nulla per salvare il salvabile dalla propria casa, ieri Martina Zambelli, avvocato come il marito, è andata ad aiutare altri amici di Senigallia, rimasti alluvionati.
Oggi, dato che l’acqua è defluita dopo essere arrivata a un metro e ottanta di altezza, come prima cosa è tornata al lavoro: «Ho l’Appello che mi scade – dice – e ho dovuto dare alcune cose alla mia collega. Ho i miei assistiti e devo pensare anche a loro». Questa è la testimonianza, come tante, di gente che non si ferma né si arrende nemmeno di fronte a un immenso dramma.
«Questa mattina – riprende – mio marito e mio fratello hanno liberato casa da molti mobili, letteralmente sciolti dall’acqua di tre giorni, e che venivano via come burro. Io sto da mia madre, altre famiglie sono, come i miei vicini con la bimba piccola, all’Hotel Atlantic mentre le famiglie ai piani alti sono rimaste perché hanno pensato: “Se lasciamo questo condominio, la palazzina rimane abbandonata e non verrà nessuno per noi, perché non importa a nessuno che stiamo qui, in queste condizioni”».
Purtroppo, nonostante ci continuino ad abitare «sembra sia davvero così, che non importi a nessuno del fatto che siano ancora lì perché davvero, ancora, non si è visto nessuno. E sono passati quattro giorni. Ci sono un’anziana di 93 anni e due di 75 – continua -. Due giorni dopo l’alluvione vedevamo i vigili che aiutavano a scavare a Borgo Bicchia ma abbiamo preso noi gli anziani in braccio perché nessuno andava e loro non sapevano cosa fare, assumendoci non poche responsabilità, aiutandoli a guadare questo ‘mare’ di un chilometro quadrato fatto di fanghiglia e detriti senza l’assistenza di nessuno nonostante avessimo continuamente chiamato i soccorritori ma la risposta era che ‘non sapevano cosa fare’ o che ‘c’era da aspettare che defluisse l’acqua’. Ci sentiamo abbandonati, ma davvero tanto. In questo momento – dice – c’è bisogno di persone che spalano, di ruspe, idrovore, di persone che ci aiutino a salvare le cose rimaste in alto, che sono anche quelle che di solito non si usano. Io sono riuscita a prendere le tute da sci che erano in cima a un armadio e che almeno potranno tenere caldo. Ho salvato un gioco di mia figlia, l’unico, in plastica, che ho fatto lavare da mia madre ma il fango l’ha anche corroso e si ricrea nonostante abbia usato tantissimi prodotti».
All’esterno delle case sono accatastati anche i mobili, tavoli e tutto quanto è andato distrutto dall’alluvione, creando montagne che rimangono lì e che aumentano continuamente di volume via via che gli appartamenti vengono ‘liberati’.
«Abbiamo bisogno – conclude – che davvero qualcuno ci aiuti» è il disperato e rinnovato appello, e che ci si accorga soprattutto che ci sono famiglie con il terrore di dover abbandonare le proprie case, comprate con mille sacrifici, per poi trovarsi a vivere per sempre nelle solite ‘casette di legno’.
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